Capitano dei Carabinieri in quiescenza, autore di libri, testimone diretto della lunga e complessa lotta alla 'ndrangheta. Cosimo Sframeli è molto più di un ex ufficiale: è un pezzo di memoria storica della Calabria che resiste. Ospite di «A tu per tu» sul truck del Network LaC, affacciato sul lungomare Falcomatà di Reggio Calabria, ripercorre decenni di lotte, sacrifici e battaglie silenziose contro quella che definisce «una montagna che ha inghiottito speranze, economia e sviluppo».

«La 'ndrangheta ha frenato lo sviluppo di questa terra – spiega –. I sequestri, le intimidazioni, gli omicidi, le estorsioni hanno fatto scappare investitori e imprenditori. Reggio e l’Aspromonte sono rimasti indietro, fanalino di coda d’Italia». Eppure, tra gli anni Ottanta e Novanta, qualcuno ha resistito. Qualcuno ha pagato il prezzo più alto. «Abbiamo perso colleghi, amici, eroi – ricorda con voce ferma –. A San Luca il brigadiere Tripodi. A Bovalino, Antonino Marino, assassinato mentre era con moglie e figlio. Volevano intimidire l’Arma, fermarci. Ma noi siamo andati avanti. In silenzio, con fermezza».

«La cultura è l’arma vera. Ma senza coscienza resta una parola vuota».

Il volto serio di Sframeli si ammorbidisce solo quando parla dei giovani. Ma è lì che lancia l’avvertimento più forte: «La 'ndrangheta attira ancora. Per tre motivi: si nasce in quelle famiglie, si cerca lavoro che lo Stato non offre, si ha un disagio profondo e si viene “riconosciuti” dai clan. Per questo serve educazione, cultura. Ma soprattutto formazione delle coscienze».

Non è una retorica. È un monito: «Anche la legalità è una parola vuota se non c’è giustizia. E la giustizia ha bisogno di coraggio, empatia, visione». Sframeli porta l’esempio di un medico, figlio di un boss della Locride, oggi missionario e autore di libri contro la criminalità: «Segni di speranza ce ne sono. Ma devono venire dal basso. Non da Roma. Siamo noi calabresi che dobbiamo ribellarci. Ed edificare».

«La 'ndrangheta non minaccia. Intima. E sa dove colpire».

A differenza della criminalità comune, secondo l’ex ufficiale la 'ndrangheta usa un codice di intimidazione che «non ha bisogno di urla o parole. È silenziosa, chirurgica, efficace». E questo vale anche oggi, in un tempo in cui – avverte – le mafie si sono fatte «liquide come il gas, mimetiche, digitali».

«Negli anni Ottanta investivano in Borsa, avevano conti in Svizzera, condizionavano le banche. Oggi è peggio. Oggi si infiltrano nei flussi finanziari, nelle piattaforme tecnologiche, nel digitale. Non esiste più la vecchia 'ndrangheta. È business puro, senza codice d’onore. Ma l’origine è sempre la stessa: parte dall’Aspromonte e arriva a Milano. Milano è Europa, è capitale economica. È lì che si muove il denaro. È lì che dobbiamo cercarli».

«Il racconto spettacolarizzato li rende eroi. E questo è pericolosissimo. Il rischio è di mitizzare il mafioso. Quando lo si definisce “intoccabile”, “latitante leggendario”, si alimenta un mito. Chi guarda i film, le serie tv, spesso finisce per parteggiare per chi vince. E chi vince, nei racconti sbagliati, è il criminale».

Ma Sframeli non fa moralismo. Analizza con lucidità: «Io non giudico chi fa cinema. Ma l’antimafia vera non si fa con i proclami. Si fa sul campo, senza rumore. Perché la vera giustizia è azione, non parola».

Nel finale, l’ex Capitano guarda avanti. E lo fa con preoccupazione, ma anche con speranza: «Ci aspettano sfide nuove. L’intelligenza artificiale sarà un campo di battaglia. La 'ndrangheta userà l’intelligenza artificiale. Ma lo farà anche lo Stato. La lotta si sposta su nuovi fronti. Sta a noi decidere se prepararci o soccombere».

E poi un pensiero che è quasi un’eredità: «Lo Stato vince sempre. Anche se ci mette tempo. Il bene trionfa, ma dobbiamo lottare ogni giorno. Anche con parole scomode, come diceva Peppino Impastato. Perché ogni centimetro di libertà in Calabria è costato sangue. E merita rispetto».

Sframeli si congeda guardando al passato e contemporaneamente al futuro. «Non ho rimpianti. Solo un compito: continuare a raccontare. Perché la memoria è l’ultimo bastione contro l’indifferenza». Per costruire, mattone dopo mattone, una Calabria diversa.