Nel recente scontro istituzionale sull’allargamento dell’imboccatura del porto di Gioia Tauro, che vede da un lato, l’Autorità di sistema e il presidente Agostinelli, dall’altro, l’amministrazione comunale guidata da Simona Scarcella, che pone dubbi di sicurezza, partecipazione e trasparenza, Rosario Schiavone consigliere comunale di minoranza “Alleanza Gioiese”, politico di lungo corso già vicesindaco della città, esprime le proprie vedute.

«Uno scontro che non è tecnico, ma culturale. Non riguarda solo le onde o i fondali, ma le diverse idee di sviluppo – sottolinea Schiavone – Perché se è vero che il porto già oggi fa il massimo in termini di traffico container, è evidente che il futuro risieda nell’apertura al territorio e nella sua polifunzionalità. Un territorio che per decenni ha subito scelte calate dall’alto (dal “Pacchetto Colombo” al progetto del quinto centro siderurgico, dalla centrale a carbone al sogno intermodale) senza mai essere davvero coinvolto o ascoltato. Eppure, negli ultimi trent’anni, qualcosa è cambiato. È cresciuta una generazione di tecnici, ingegneri, manager. È arrivata MSC con Aponte, dando stabilità e visione industriale. E oggi, per la prima volta, l’intera area è guidata da amministrazioni dello stesso colore politico: i tre comuni, la Regione, il Governo. Un’occasione storica per passare dal conflitto alla condivisione, dalla gestione emergenziale alla programmazione strategica».

Schiavone evidenzia che: «Nel mosaico dei porti italiani, Gioia Tauro rappresenta un unicum assoluto, non una città portuale con un porto, ma un porto con appena una città. Costruito ex novo nel nulla della piana calabrese, Gioia Tauro è un’infrastruttura imponente calata su un territorio fragile, frammentato amministrativamente e storicamente privo di una cultura portuale. Con oltre il 50% del PIL calabrese generato nell’area portuale, il porto è oggi una Ferrari che corre nel deserto: velocissima, tecnologicamente avanzata, ma senza una pista adeguata. Il territorio, infatti, non è mai riuscito a starle dietro: tre comuni (Gioia Tauro, San Ferdinando e Rosarno), tre aree industriali disarticolate, una classe dirigente spesso impreparata, incapace e divisa. A questo si aggiunge un’attività politica amministrativa fatta di vincoli paesaggistici, occasioni mancate e strumenti straordinari – dalla 488 alle ZES – incapaci di fare sistema».

Secondo Schiavone «serve un cambio di paradigma: un piano regolatore portuale che non sia solo tecnico, ma territoriale. Che sappia far dialogare il porto con la sua corona urbana, riscoprendo vocazioni dimenticate: la marineria, l’agricoltura, il commercio. Che trasformi il deserto industriale in una piattaforma produttiva moderna e attrattiva. Gioia Tauro non può restare un gigante isolato. Deve diventare una capitale logistica integrata, ponte tra il Mediterraneo e l’Europa, ma anche tra lo Stato e il territorio. Perché lo sviluppo vero non è solo fatto di container movimentati, ma di comunità coinvolte. E solo una governance coesa, capace di superare il conflitto e disegnare visioni condivise, potrà finalmente guidare questa Ferrari sulla strada giusta».