La vera forza della memoria è quella di non rimanere confinata nel passato, ma di sapersi trasformare in scelta quotidiana, in gesto, in visione. È ciò che accade attraverso le attività della Fondazione Scopelliti, che in questi anni ha saputo moltiplicare semi di legalità, costruendo occasioni per i giovani, promuovendo percorsi di educazione civica, stimolando la nascita di progetti in grado di tradurre i valori in pratiche.

Antonino Scopelliti non è soltanto una vittima di mafia, né soltanto il magistrato designato a sostenere l’accusa nel maxiprocesso alla Cupola davanti alla Corte di Cassazione. È, ancora oggi, un esempio vivente di rigore morale, disciplina civile, amore per lo Stato. E ciò che resta della sua figura non appartiene soltanto alla storia giudiziaria del Paese: è un patrimonio immateriale che si è trasmesso, trasformato, moltiplicato.

Da vent’anni, questo patrimonio cammina sulle gambe di sua figlia. Rosanna Scopelliti, con forza tranquilla, pazienza instancabile e determinazione profonda, ha scelto di non chiudere il dolore in una dimensione privata, ma di trasformarlo in un motore di impegno collettivo.

Nel giorno successivo alla ricognizione giudiziale avvenuta ieri a Piale, proprio nel luogo in cui il 9 agosto 1991, venne ucciso il giudice, ha voluto ricordare il Padre raccontando le attività della Fondazione a lui intitolata. «Dal 2005 ad oggi ho raccontato agli studenti, ho raccontato nelle iniziative pubbliche la figura di Antonino Scopelliti, dell’uomo, del magistrato, del servitore dello Stato, della vittima di mafia, della persona che ha pagato con la vita l’amore e l’affetto per la nostra patria e per il nostro tricolore. L’unica cosa che non è mai cambiata nel corso degli anni è stata la nostra richiesta di verità e giustizia, che non è la richiesta solo della famiglia, è la richiesta di un’intera comunità, di un’intera cittadinanza».

Attraverso il lavoro della Fondazione Scopelliti, presieduta da lei, migliaia di ragazze e ragazzi in tutta Italia hanno avuto la possibilità di conoscere non solo il magistrato, ma l’uomo, il padre, il servitore dello Stato che credeva nell’etica pubblica, nella responsabilità, nella giustizia come valore condiviso.

Un impegno che non si è mai limitato al ricordo, ma ha sempre puntato a costruire spazi di legalità viva, a far crescere una cultura della responsabilità e dell’etica condivisa. In questi anni, la memoria di Antonino Scopelliti è diventata una storia che si racconta nei licei, nei quartieri, nelle periferie, nei laboratori sociali, nei percorsi di cittadinanza attiva promossi in tutta Italia.

Uno di questi è il Premio nazionale “Antonino Scopelliti”, giunto quest’anno alla sua sesta edizione. Non il centro del racconto, ma un esempio tangibile di quanto quella memoria sia capace di agire. Scuole da tutta Italia hanno partecipato con proposte originali, creative, radicate nei territori. Tra queste, anche quella di Bruno De Gregorio, studente dell’ITIS “Galileo Galilei” di Roma, che ha vinto la sezione social con un progetto dedicato alla rinascita delle periferie.

Partendo dal proprio quartiere nella Capitale, ha raccontato un’Italia spesso ai margini, ma piena di energia e possibilità. «Anche dalle periferie possono nascere idee che cambiano il mondo» ha detto. Il suo messaggio è chiaro: dove ci sono bellezza, cultura, creatività, l’illegalità non trova spazio. «Se riportiamo la bellezza – ha aggiunto – la comunità si riprende i suoi luoghi, e la criminalità scappa».

È questo il segno più profondo lasciato dalla figura del giudice Scopelliti: non una memoria da celebrare una volta l’anno, ma una testimonianza che continua a generare pensiero e azione, che stimola le nuove generazioni a costruire alternative, a resistere al silenzio, a scegliere la parte giusta.

Ogni volta che un ragazzo presenta un progetto, che una scuola sceglie di lavorare sulla legalità, che un docente costruisce un percorso con i suoi studenti ispirandosi a valori condivisi, la memoria di Antonino Scopelliti prende voce. Ogni volta che un quartiere si riappropria dei suoi spazi, che si parla di impegno, di etica, di responsabilità, quel sacrificio si traduce in vita.

Ecco perché oggi, più che mai, non possiamo permetterci di dimenticare. Perché il ricordo di un uomo giusto può diventare un laboratorio permanente di cittadinanza, se abbiamo il coraggio di ascoltarlo. Se abbiamo la pazienza di farlo camminare.