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Domenica, da Melito Porto Salvo, è partita una marcia che ha segnato un prima e un dopo. La prima, in tutta la provincia di Reggio Calabria, a dichiararsi apertamente in favore della Palestina libera. Non una semplice manifestazione per la pace, ma un corteo con un nome preciso nel cuore e una frase netta sulla bocca: Stop al Genocidio a Gaza.
A partire non è stata un’organizzazione nazionale, né un collettivo strutturato, ma un gruppo di cittadini e cittadine che ha scelto di non restare in silenzio. A raccogliere e amplificare l’iniziativa ci hanno pensato le associazioni del territorio, alcune amministrazioni locali, singoli attivisti e famiglie intere. Il risultato è stato una piazza piena, visibile, compatta, attraversata da una partecipazione ampia e consapevole.
Il corteo ha preso il via nel tardo pomeriggio dal Monumento ai Caduti, attraversando il Corso Garibaldi e concludendosi all’imbocco del lungomare in Piazza Porto Salvo. Bandiere palestinesi, cartelli scritti a mano, bambini in braccio ai genitori, giovani e anziani fianco a fianco. Una comunità messa in cammino da un’urgenza che non è più ignorabile.
L’atmosfera era composta, determinata. Non c’erano cori di partito, nessuna sigla dominante, ma una moltitudine di presenze diverse, unite dal bisogno di prendere parola. Molti dei presenti hanno camminato in silenzio, altri portavano cartelli con scritte semplici e dirette: «Libertà per la Palestina», «Stop al genocidio», «La pace è un diritto». Chi ha organizzato la marcia non ha cercato ambiguità. Il messaggio era chiaro fin dal principio. Denunciare pubblicamente il massacro in corso nella Striscia di Gaza, farlo da un angolo remoto della Calabria, dare voce a chi non ne ha. Perché la distanza non attenua la responsabilità.
A parlare dal palco, al termine della marcia, è stato il sindaco di Melito Porto Salvo, Tito Nastasi. Il suo è stato un intervento asciutto, ma denso di significato: ha definito la giornata un «momento di riflessione profonda», ringraziando la cittadinanza per la risposta ricevuta. Ha parlato della necessità di lavorare per la pace, ribadendo che «non ci si può più permettere di attendere». Accanto a lui, la promotrice dell’iniziativa, Monica Laganà, ha voluto sottolineare il senso di gratitudine per una risposta tanto estesa. Ha ricordato come tutta l’area grecanica si sia mobilitata, accogliendo la marcia come un’occasione per rompere il silenzio e dare un segnale collettivo di presenza civile. Ha detto: «La pace è un diritto. E va riconosciuto a tutti i popoli».
Poi è arrivato il momento più esplicitamente politico. Sul palco è salito Enzo Infantino, attivista e referente dell’associazione “Per non dimenticare Sabra e Shatila”. Il suo è stato un discorso diretto, senza mediazioni. Ha parlato di “genocidio sistematico”, ha indicato le responsabilità del governo israeliano, ha denunciato la complicità dell’Europa e ha chiesto al governo italiano di sospendere immediatamente l’invio di armi a Israele. Le sue parole hanno toccato un nervo scoperto, ma la piazza ha ascoltato con rispetto e ha applaudito con convinzione. «Ogni bambino ucciso pesa anche su chi tace», ha detto. E in quella frase si è condensato il senso dell’intera manifestazione.
A seguire, sono intervenuti anche Angelo Scordo, psicologo, con una riflessione sul peso dell’indifferenza e sulla necessità di riconoscere la sofferenza altrui come parte della nostra, e Romina Palamara, presidente della Pro Loco Montebellum, che ha ricordato il legame tra popoli oppressi e la responsabilità storica di chi ha conosciuto l’emigrazione, l’esilio, l’abbandono.
Alla fine, l’associazione Pilati 2023 ha offerto un rinfresco con prodotti locali. Un gesto semplice, che ha trasformato la piazza in uno spazio di incontro. Tavoli allestiti, bambini che correvano, anziani che restavano a parlare, giovani seduti sui marciapiedi. Una comunità in ascolto, in cammino, in relazione.
L’intera manifestazione si è svolta in un clima pacifico e costruttivo. Nessuna tensione, nessun incidente, nessuna presenza provocatoria. Il corteo ha mostrato una maturità collettiva rara, costruita attorno alla consapevolezza di vivere un momento storico che richiede schieramenti chiari. In molti hanno definito la marcia di domenica un gesto simbolico. Per chi c’era, è stato qualcosa di più. È stato un punto di rottura. Un modo per dire che l’indifferenza è finita. E che, da questo momento in poi, chi sceglie il silenzio lo fa sapendo esattamente da che parte si mette.