di Silvio Nocera – Tra le tante cose scritte e dette su San Luca, ce n’è una che non ha avuto l’attenzione che merita e che però rappresenta un campanello d’allarme da non sottovalutare: è il dato storico sull’affluenza elettorale. Un dato che negli ultimi anni, per lo meno dal 2012, si è trasformato nella codificazione di un atto di rifiuto e che interseca sia una forma di protesta, sia la constatazione di uno spopolamento che, dai 4.600 residenti del 2001, ha condotto ad oggi a una perdita secca di circa 1000 di loro. Molti di questo quarto sono residenti fantasma, nel senso che conservano la residenza, ma vivono fuori.

Dopo l’elezione di Sebastiano Giorgi nel 2008, arrestato, in primis condannato per associazione mafiosa e abuso di ufficio e poi assolto dopo 11 anni, il 17 maggio 2013, a tre giorni dalla nuova tornata elettorale, il Consiglio Comunale viene sciolto per infiltrazioni mafiose.
Il 31 maggio 2015 le elezioni per il rinnovo dell’amministrazione vengono annullate perché il quorum non viene raggiunto: l’affluenza si attesta al 43,09%. I tre tentativi di eleggere una nuova amministrazione fatti negli anni successivi – 2016, 2017 e 2018 – falliscono per la mancata presentazione delle liste elettorali. Nel 2019 viene finalmente eletto Bruno Bartolo, poi travolto da un’indagine e nel 2025 il Consiglio Comunale di un Comune già guidato da un Commissario viene sciolto per mafia.

Da qualche anno a questa parte a San Luca non solo c’è grande difficoltà nel presentare le liste elettorali, ma non si vota più. Come riferisce più di un cittadino «qui c’è una maggioranza di gente per bene che non si sogna più di andare a votare». Una protesta e una rassegnazione mute ormai trasfigurate in un arretramento della democrazia

«Perchè – chiarisce Antonio Reppucci, commissario straordinario in carica nel piccolo comune – la gente ha perso la fiducia e questo è un dato incontrovertibile». Sono ormai lontani i tempi – 2017 – in cui la comunità, con una lettera all’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, aveva chiesto che l’ex commissario Salvatore Gullì restasse alla guida del Comune: «Non meritiamo di ripartire da zero, ma di essere accompagnati da un uomo di Stato su cui tutti abbiamo riposto fiducia, ripagata con la migliore delle ricompense, trasparenza, efficacia e efficienza». Il commissario era stato prorogato d’intesa con il prefetto Di Bari e si era poi giunti nel 2019 all’elezione di Bruno Bartolo.

Qualche anno dopo la pellicola sembra riavvolta e si è tornati al punto zero. A San Luca si chiedono oggi a cosa siano serviti tutti questi anni di commissari e gestioni straordinarie se la situazione di oggi sembra quella di 13 anni fa. E nonostante la questione della festa della Madonna della Montagna 2025 sia stata risolta in extremis con l’arrivo della Sacra Effige presso la chiesa del Paese, le polemiche e i sospetti rimangono con la loro lunga scia: «A San Luca, il giorno della Festa, non c’erano né il Prefetto di Reggio, la dott.ssa Clara Vaccaro, né il neo-commissario della Fondazione Alvaro, il dott. Luciano Gerardis», si sottolinea in paese, ribadendo che una presenza istituzionale sarebbe stata importante. La Fondazione Alvaro, rimasta aperta tutta la mattina del 2 settembre a seguito dell’appello di Giusy Staropoli Calafati alla Commissione Straordinaria del Comune, appare oggi uno dei pochi atti simbolici concreti realizzati.

Sospetti e diffidenze restano: se è vero che secondo alcuni sarebbe stato il vescovo di Locri, Mons. Oliva, ad affermare che avrebbe portato la statua della Madonna anche di notte in chiesa, secondo altri la decisione sarebbe stata maturata durante una riunione presieduta dalla Prefettura di Reggio Calabria svoltasi tra il 26 e il 27 agosto scorsi: alcuni esponenti delle forze dell’ordine avrebbero sottolineato quanto sarebbe stato complesso e costoso in termini di impiego di uomini, mezzi e denaro pubblico, coordinare la sicurezza e l’ordine con la situazione di attrito che si era venuta a creare e la manifesta volontà di molti pellegrini di recarsi al Santuario di Polsi nonostante le restrizioni. Il Commissario straordinario Reppucci, però, smentisce questa ricostruzione. E c’è chi ironizza sul fatto che, nonostante la soluzione dell’ultimo minuto si sia trovata, alla piazza della chiesa mancasse il piano della sicurezza. Perché – ci si chiede – su questo, a differenza che su altro, si è chiuso un occhio? O, come ricorda Giuseppe Battaglia, già comandante provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria: «Perché i lavori al Santuario siano stati iniziati solo a luglio scorso? Perché è stata poi disposta un’ispezione proprio in quel cantiere sperduto nella montagna? E perché lo scorso anno, proprio al Santuario, durante le celebrazioni di settembre, è arrivata la Guardia di Finanza a controllare che i pagamenti avvenissero per procedura elettronica, quando tutti conoscono i problemi di connessione alla rete che ci sono in quel luogo?».

Queste e molte altre domande ad oggi restano inevase e contribuiscono ad alimentare i dubbi.
Questa la situazione a una settimana dalle celebrazioni, mentre fervono i preparativi per la Festa della Croce prevista per il 14 settembre
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Ad avvelenare il clima si aggiungono considerazioni più generali che riguardano il tema del lavoro e della sopravvivenza delle aree interne. «Qui manca il lavoro, mancano le opportunità, non troverai un operaio di San Luca nei diversi cantieri aperti in zona. La gente se ne va, il paese muore nel suo marchio di infamia e nessuno fa nulla per provare a invertire questa tendenza», dichiara una delle donne di San Luca. Le fa eco Attilio Cordì, oggi allevatore: «Se è vero che in questi posti siamo tutti criminali perché anche qui non fanno un decreto Caivano? Questa è la terra delle tante opportunità per i tali che traggono solo vantaggi a discapito delle Calabria intera. Quello che accade alla maggioranza, poi non è un problema loro: non sono interessati a investire nel lavoro e soprattutto nella cultura. Guai a chi cerca di fare qualcosa di positivo perché viene incriminato e spesso scomunicato. Anche se non è più il mondo che c’era 20 anni fa, si tende a perpetrare un racconto antico riattualizzandolo ogni volta. I social poi mettono il carico. Cambiano mentalità, contesti e modi di vivere, ma in questa terra tutto deve rimanere come era nel medioevo».

Lo scorso 17 settembre 2024 l’ex sindaco Sebastiano Giorgi è stato assolto e tutte le accuse sono cadute. È caduto l’abuso d’ufficio, ed anche il concorso esterno in associazione mafiosa. A novembre 2017 la Cassazione aveva annullato la sentenza di condanna a 2 anni e 8 mesi, rinviandola alla Corte di Appello per un nuovo esame perché «la Corte avrebbe omesso di specificare le norme la cui violazione viene addebitata ai due imputati, di precisare il ruolo dagli stessi effettivamente ricoperto nell’assegnazione e gestione degli apparati oggetto di contestazione, di individuare l’azione o l’omissione attraverso cui il pubblico ufficiale ha realizzato la condotta di abuso».
Quando l’intervento delle istituzioni si trasforma in una catena di omissioni ed errori che, nonostante le buone intenzioni, rischia di mettere in discussione il principio di democrazia, probabilmente è giunto il momento di adottare approcci, metodologie e soluzioni differenti.