A Roccaforte del Greco, sabato 16, la pioggia copiosa ha fermato il paese davanti all’altare. La processione di San Rocco è rimasta sospesa per oltre un’ora. Come hanno raccontato alcuni fedeli, si è dovuto attendere chiusi in chiesa per almeno un’ora prima di sapere se il rito potesse proseguire, salvo poi darsi appuntamento al sabato successivo. Fuori, l’acqua cadeva senza tregua, segno di un territorio che porta addosso le cicatrici degli ultimi anni. Quell’attesa, apparentemente minuta, restituisce l’immagine di una comunità che cammina su un crinale fragile, in bilico tra devozione e insicurezza del suolo. La fine dell’estate porta con sé un autunno di precipitazioni più irregolari e violente, figlie del cambiamento climatico. L’episodio diventa allora un avviso: se le piogge tornano a colpire a sprazzi, con intensità crescente, un’area già provata rischia di vedere moltiplicati gli effetti del dissesto idrogeologico.

Il maltempo che ha colpito l’Area Grecanica non è stato un incidente isolato, ma l’effetto di un equilibrio spezzato. Qui i pendii portano ancora addosso le ferite degli incendi degli ultimi anni: interi tratti di bosco scomparsi, radici bruciate, terreni impoveriti. È su questo scheletro che la pioggia ha trovato spazio, correndo a valle senza ostacoli, trascinando ghiaia e fango fino alle strade. Ogni rovescio diventa così una prova di resistenza per i paesi, costretti a fronteggiare l’ennesima emergenza senza strumenti adeguati. La mancanza di riforestazione, la scarsa manutenzione dei canaloni e l’assenza di piani di messa in sicurezza hanno reso il territorio fragile come vetro. Non è soltanto un fenomeno naturale: è il prodotto diretto di anni in cui la cura del suolo è rimasta fuori dall’agenda politica.

L’ora di attesa sotto la pioggia è diventata per il sindaco Mimmo Penna l’ennesima conferma di un territorio dimenticato. «Su fatti gravi come questi si continua a intervenire in maniera superficiale, senza una visione complessiva. Si spendono risorse per mettere pezze, ma non si costruisce mai un piano che dia sicurezza ai cittadini». Il riferimento è anche alla situazione delle strade ex-provinciali, di competenza della Città Metropolitana di Reggio, ed in particolare alla strada di collegamento per Roccaforte, lasciata per troppo tempo in balia di se stessa. «Abbiamo pendii mai bonificati, aree incendiate che nessuno ha riforestato, canaloni colmi di detriti. Non possiamo sorprenderci se bastano poche ore di pioggia per trasformare le strade in fiumi di fango e isolare intere frazioni».

Il tono del primo cittadino è insieme di rabbia e di impotenza, ma non si ferma alla denuncia: «Qui non servono interventi spot, serve una programmazione seria, una manutenzione continua, fondi certi e controlli. Non si può continuare a vivere contando i danni a ogni temporale, mentre le istituzioni guardano altrove». E ancora: «Non chiediamo miracoli, chiediamo solo che le nostre montagne vengano curate, che i canaloni vengano puliti, che i boschi bruciati vengano ripiantati. Altrimenti ogni anno ci ritroveremo a fare la conta dei danni, con la differenza che prima o poi i danni non saranno solo alle cose, ma – come purtroppo già accaduto – alle persone».

Le sue parole si innestano in una memoria collettiva che non si è mai sopita: gli incendi dell’Aspromonte che hanno distrutto negli scorsi anni ettari di vegetazione e lasciato a nudo interi versanti. Senza il manto del bosco, la montagna ha perso la sua armatura naturale. «Quando le fiamme hanno cancellato alberi e radici, abbiamo perso il primo baluardo contro le frane», ammettono gli abitanti, ricordando le vite spezzate ed il fumo nero che sovrastava il paese. Il fuoco ha scavato un vuoto che oggi la pioggia amplifica, trasformando il terreno in una spugna incapace di trattenere l’acqua. Ogni temporale diventa un conto in sospeso con quelle estati di fuoco mai seguite da veri piani di riforestazione. Così i pendii feriti restano lì, sospesi tra memoria e minaccia, pronti a cedere al primo acquazzone. Senza un’azione rapida e strutturale, le ferite dell’Aspromonte diventeranno cicatrici permanenti.

Il dissesto che segna l’area grecanica non è soltanto il risultato di incendi e incuria, ma la conseguenza di un clima che ha cambiato ritmo. Le stagioni intermedie si sono accorciate, le piogge diventano più violente e concentrate in poche ore, con la forza di temporali tropicali. Per un territorio fragile questo significa non avere margini di respiro. I canaloni che dovrebbero incanalare l’acqua si trasformano in torrenti impetuosi, le strade diventano corsi d’acqua improvvisati, le frazioni restano isolate. L’assenza di un piano organico di difesa del suolo trasforma ogni fenomeno meteorologico in potenziale emergenza, aggravata dalla mancanza di presidi tecnici e di manutenzione costante. In Calabria, la fotografia del rischio idrogeologico è ormai cronaca quotidiana: basta un nubifragio per mostrare la nudità di un territorio esposto e di comunità che vivono col timore che la prossima pioggia travolga case e ricordi.

A Roccaforte il segnale è arrivato nel giorno della festa più attesa, quando la devozione si è dovuta piegare all’imprevisto. Un’immagine che parla più di qualsiasi dossier tecnico: fedeli chiusi in chiesa, processione ferma, un intero paese sospeso tra fede e paura. È l’emblema di una comunità che resiste con la forza del legame sociale, ma che si sente abbandonata da chi dovrebbe garantire sicurezza e prevenzione. La voce del sindaco, le cicatrici degli incendi, la pioggia che scivola veloce lungo i pendii, tutto converge nello stesso grido: servono interventi veri, non slogan o promesse. Perché se l’acqua è la vita di queste montagne, senza manutenzione diventa anche la loro condanna. La sfida non è rinviare ancora, ma decidere se lasciare che la prossima processione si fermi di nuovo sotto la pioggia o se finalmente dare a queste comunità la certezza che la loro festa possa continuare sotto un cielo – e sopra un suolo – meno minaccioso.