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Reggio, ancora senza verità e giustizia l’omicidio dell’ingegnere Demetrio Quattrone

Il 28 settembre 1991 il professionista veniva ucciso in un agguato insieme all’amico, Nicola Soverino. Un delitto rimasto impunito. La figlia Rosa: «Mai si estinguerà il nostro diritto alla verità e alla Giustizia»

Reggio, ancora senza verità e giustizia l’omicidio dell’ingegnere Demetrio Quattrone

«Sono passati trentuno anni dall’uccisione di nostro padre e siamo consapevoli che il tempo trascorso è tanto. A grandi passi ci stiamo inoltrando nella storia senza conoscere mandanti ed esecutori di una violenza che ha sconvolto le nostre vite. Restiamo, tuttavia, fiduciosi e consapevoli che la verità e la giustizia costituiscono un diritto che mai perirà per noi familiari, camminando se necessario, dopo che sulle nostre gambe, anche su quelle dei nostri figli e nipoti». Queste le parole di Rosa Quattrone, sorella di Antonino e Maria Giovanna, figli di Demetrio Quattrone, ingegnere di 42 anni, funzionario dell’Ispettorato del lavoro di Reggio Calabria, è stato assassinato da una mano criminale ancora ignota e ancora impunita, il 28 settembre 1991 nella frazione reggina di Villa San Giuseppe, mentre era in auto con l’amico, il medico trentenne Nicola Soverino, anche lui rimasto ucciso.

Verità e Giustizia: un diritto inestinguibile

Vittime innocenti della mafia. Ci sono, infatti, anche i loro nomi tra quelli letti ad alta voce in occasione della Giornata nazionale della Memoria e dell’Impegno promossa ogni 21 marzo da Libera. Nel 2019, in piazza Castello a Reggio Calabria, un largo è stato intitolato alla sua memoria.

«Trent’anni sono un tempo sospeso in attesa di una verità e giustizia purtroppo mai arrivate. Trent’anni sono un tempo di speranza quando il tuo ricordo diventerà esigenza collettiva», ha scritto, in un post su face book lo scorso anno, nel trentennale della morte del padre, Rosa che ancora oggi dichiara: «Rassegnati mai, attendiamo con fiducia. La morte di mio padre ha stravolto la nostra vita e la rassegnazione non è tra le nostre opzioni. Quel gesto di violenza mafiosa ha segnato per sempre l’esistenza di tante persone, di noi figli e di nostra madre, rendendo orfana di suo nonno anche la mia nipotina di sei anni, Alice. Anche e soprattutto per lei è necessario non rassegnarsi, coltivare la speranza e l’impegno per il Bene comune come nostro padre ci ha insegnato. I familiari hanno un diritto alla verità e alla giustizia che non si estinguerà mai».

Stasera l’ingegnere reggino Demetrio Quattrone sarà ricordato a Torino, dove si era laureato, nell’ambito di in un evento promosso dai presidi universitari Tina Motoc e Hyso Telharaj. 

L’etica del lavoro e lo strapotere dei “palazzinari”

Redigere perizie nel settore delle costruzioni per conto della Procura di Palmi, impegnata ad indagare su reati mafiosi nella Piana di Gioia Tauro negli anni Ottanta. Farlo con serietà e integrità, riconoscendo nell’etica l’unica strada percorribile per esercitare una professione e nell’impresa libera l’unico viatico per creare sviluppo in un territorio. Così pensava e agiva l’ingegnere reggino Demetrio Quattrone.

«L’imprenditore nasce ed investe perché vede un mercato che esprime domanda nel lungo termine. L’affarista si organizza solo per fare l’affare che ha l’intenzione di concludere. Dall’affare trae il maggior guadagno possibile, non accantona ammortamenti ma investe tutto l’utile in beni permanenti che producono solo reddito a chi li possiede (ovvero immobili)», questo un passaggio della lucida e compiuta analisi sulla situazione della Reggio degli anni Ottanta che egli ha lasciato in uno scritto divulgato dalla famiglia negli anni scorsi come traccia di memoria e di impegno. Demetrio Quattrone delineava un contesto di economia drogata dal cemento gestito dai “palazzinari” che a Reggio spadroneggiavano e da un processo produttivo appiattito sulle sole logiche di speculazione edilizia, sfruttamento del lavoro e illegalità diffusa, capace solo di sottrarre risorse economiche e mai di investire virtuosamente e a lungo termine. Un contesto inquinato dal subappalto, dal “cantiere da rapina”, dagli operai cottimisti, in cui i lavoratori erano sfruttati e pagati a cottimo e i materiali di costruzione scadenti perché chi appaltava guadagnava con la tangente e chi aveva il subappalto si rivaleva, per trarre un qualche profitto, sul costo del lavoro e delle materie prime.

L’analisi e la visione

Un contesto che non nutriva il tessuto produttivo del territorio ma che alimentava piuttosto una zona grigia, tanto florida quanto occulta. Aveva capito e non si era girato dall’altra parte, Demetrio Quattrone, pagando questa scelta di coraggio con la sua vita. Nel documento di analisi, anche la visione di una società e di una comunità che con il suo contributo e il suo sacrificio avrebbe potuto iniziare ad essere reale e concreta.

«Allora il grande disegno da attuare è una vera formazione professionale del lavoratore controllata dai lavoratori stessi e finalizzata ad occupazione stabile perché, tolto dallo stato di bisogno e dalla conseguente continua ricerca del soddisfacimento dei bisogni indispensabili, il lavoratore aumenterà la capacità critica, condurrà la battaglia con i compagni di lavoro e saprà di non essere solo quando definirà scelte. La formazione professionale, quindi, anche come comprensione del proprio stato e dalla propria forza per riuscire finalmente a trasformare il lavoro instabile dell’edile in lavoro stabile e non precario. Conseguenza di ciò è l’industrializzazione edilizia che dovrebbe essere sollecitata attraverso gli interventi della Cassa per il Mezzogiorno con una più oculata scelta degli investimenti. Ma la nascita di industrie di questo tipo comporta investimenti che si devono necessariamente ammortizzare nel lungo periodo, il che comporta programmazione anche degli interventi di edilizia che “adoperano” i componenti industrializzati. Per quanto sopra si auspica la nascita di un catalogo di elementi prequalificati a cura dell’assessorato ai Lavori Pubblici che imponga, negli appalti pubblici, l’uso di tali elementi», scriveva Demetrio Quattrone.

Fondamentale è il richiamo alla centralità del lavoro come processo di costruzione di una società libera dal ricatto mafioso e dunque dal bisogno, un lavoro fondato e ispirato al binomio inscindibile di coscienza e formazione, da valorizzare in un contesto politico e amministrativo capace di sostenere e difendere, con una programmazione lungimirante, libera da condizionamenti e gioghi di potere e in grado di favorire una sana industrializzazione edilizia, lo sviluppo di un territorio.

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