Reggio, il dolore di papà Pietro: «18 anni fa la morte di mio figlio Daniele, spero ancora nella verità»
Nel 2005 il corpo bruciato del giovane venne ritrovato a Favazzina. Una fine orrenda ancora senza verità e giustizia
«Diciotto anni sono trascorsi da quel 30 marzo 2005 in cui mio figlio Daniele è stato ucciso. Una morte brutale e dolorosa per la quale non mi trovo pace. Voglio sapere. Lo hanno bruciato vivo. Voglio sapere chi ha voluto che non arrivasse a compiere neppure 19 anni, chi lo ha ucciso con tanta violenza e perché. Non smetto di sperare di conoscere la verità. Non posso e non voglio».
Queste sono le parole di Pietro Polimeni, il papà di Daniele, il cui corpo bruciato fu ritrovato a Favazzina, frazione di Scilla nel reggino, il primo aprile del 2005. L’azione brutale era stata compiuta il giorno prima, il 30 marzo, giorno in cui anche la sua macchina incenerita era stata trovata a San Gregorio periferia Sud della città dello Stretto.
Neppure 19 anni
A papà Pietro è toccato il riconoscimento del corpo straziato del figlio. Una ferita che resta aperta per sempre. Gli è stato strappato a soli diciotto anni, con una vita davanti, invece stroncata in modo orrendo, nella buia primavera di 18 anni fa.
«Non posso vederlo più. Non posso vederlo crescere. Avrebbe compiuto trentasette anni il prossimo 28 maggio. Invece non gli hanno permesso neanche di arrivare a 19 anni. Non gli hanno permesso di crescere e di vivere. Voglio sapere perché. Qualcuno sa ma per paura o per omertà non parla. Per questo da allora, tutto è insopportabilmente fermo». Persevera papà Pietro, uomo mite la cui esistenza prosegue con semplicità in una casa piena di ricordi. In una casa dove suo figlio è in ogni angolo.
La morte di Daniele Polimeni, dopo diciotto anni, è ancora avvolta in fitto mistero. Una verità negata e una giustizia mancata che pesano anche sul cuore di un padre al quale è stata strappato un figlio che adorava.
Il motocross, la pesca e la Reggina
«Daniele aiutava tutti. Aveva un’indole generosa e un carattere gioioso. Le sue passioni per i motori, il motocross all’area aperta, la pesca e la Reggina sono state spente per sempre. Da quel 30 marzo solo silenzio. Un silenzio assordante. Tutti i giorni sono tristi e amari. Tutti, non solo questo. Perché chi ha fatto questo a mio figlio è rimasto libero? Forse anche libero di commettere altri orrendi delitti?», continua a chiederselo e continuerà a farlo fino alla fine, Pietro Polimeni. Sul nostro network, proprio due anni fa, aveva lanciato un appello affinché chi sapesse parlasse. Nessuna voce fece, però seguito a quell’accorata richiesta. Nessun senso di vendetta ma solo un desiderio legittimo di giustizia animava e anima papà Pietro.
Fino alla fine
«Fino a quando avrò vita, io spererò», continua a dire papà Pietro. Anche quest’anno ha predisposto tutto perchè siano affissi in città i manifesti per ricordare il suo Daniele, per non dimenticare il suo volto sorridente. Per ricordare che già sono passati 216 mesi.
La memoria ancora senza verità
Una morte orrenda, rimasta senza colpevoli, che continua a angosciare il cuore di papà Pietro, come ha fatto con quello della madre Anna Adavastro, consumata da un male che le ha fatto raggiungere l’amato figlio nel 2015.
Anna non aveva mai smesso di cercare, seppur invano, la verità sulla morte del figlio. Il nome di Daniele è pronunciato ad alta voce ogni anno da Libera in occasione della Giornata della Memoria e dell’impegno per le vittime innocenti delle mafie.
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