‘Ndrangheta, Catalano e Chindemi caduti sotto i colpi della guerra per la supremazia di Gallico
Le indagini hanno individuato i presunti autori del delitto del "bombolaro" studiato in ogni dettaglio. Decisive le video riprese e le intercettazioni
Era febbraio 2019 quando quella che doveva essere la serata degli innamorati è stata macchiata di sangue. A scorrere fu il sangue di Francesco Catalano. L’uomo, detto “il bombularo”, ucciso con sette colpi d’arma da fuoco dentro la sua macchina all’interno del cortile condominiale dove abitava.
È passato del tempo ma dopo 5 anni di investigazioni, intercettazioni, pedinamenti e ricerche capillari, il cerchio è stato chiuso. A finire in carcere con l’accusa di omicidio sono stati Domenico Mariano Corso e Costel Zlatan.
Il contesto
Un delitto che, secondo le accuse mosse dalla Procura reggina, va ben oltre il singolo fatto di sangue. La morte di Catalano si incastonerebbe in anni caratterizzati dal conflitto per il controllo criminale del quartiere Gallico dopo l’arresto, nel luglio 2018, di Antonino Crupi. Sono anni che vedono una escalation criminale, fino al 2020, per assumere il comando del territorio.
Ed è in questo contesto che si delinea la posizione di Corso che in quel periodo sarebbe diventato il principale referente mafioso nella zona. Di contro Zlatan, poco dopo l’omicidio, come emerge da diverse intercettazioni e ricostruzioni, ha fatto perdere le sue tracce in Italia. Trasferendosi nel Regno Unito, dove, stamani è stato rintracciato e arrestato dalle autorità britanniche attivate tramite il canale I-Can del Servizio cooperazione internazionale di Polizia.
Un agguato «pianificato»
Dalle primissime attività svolte sarebbe emerso «con quasi assoluta certezza che il (o i) killer dell’omicidio avevano percorso a piedi una stradina sterrata che collega la via Arghillà sud alla zona lato monte del condominio». Catalano morì sul colpo senza avere il tempo nemmeno di scendere dalla sua
autovettura. Uno o più killer lo hanno atteso sotto casa e lo hanno freddato. Per gli inquirenti si tratta di «un agguato in piena regola, realizzato con freddezza, studiato e pianificato apparentemente in ogni singolo dettaglio».
Catalano non era estraneo agli ambienti criminali della zona. La sua carriera criminale inizia nel 1992. Quando fu denunciato in materia di armi. Segnalato più volte sin da ragazzo per le sue frequentazioni con pregiudicati della zona di Gallico. Condannato, inoltre, a 5 anni di carcere per associazione mafiosa in uno dei tronconi del processo “Olimpia”. A seguito di varie operazioni di Polizia, Catalano era ritenuto vicino alla cosca Condello.
Fin dalle prime battute, per gli inquirenti, è chiaro che si tratta di «un omicidio pesante. Un delitto che dai primi momenti veniva ascritto dagli investigatori alle dinamiche che stavano interessando le cosche della zona Nord di Reggio Calabria. Ed in particolare alle preoccupanti tensioni».
Le indagini
Tutta la zona è stata passata al setaccio. E l’approfondita analisi di quasi cento impianti di videosorveglianza ha richiesto un lavoro meticoloso, certosino e duraturo, ha consentito di ricostruire i momenti precedenti all’omicidio e gli spostamenti successivi. Così, dopo aver rintracciato il mezzo, gli investigatori hanno posto in essere servizi di osservazione, pedinamento e controllo finalizzati alla ricerca dei killer. Ad essere individuata non solo la macchina usata ma anche il percorso fatto dai presunti assassini.
Dalle attività di intercettazione telefonica ed ambientale sulla famiglia della vittima sono emersi
spunti interessanti considerando che le donne discutevano proprio delle indagini in corso e della presenza di telecamere. Conversazioni che richiamavano l’attenzione degli investigatori perché «le domande rivolte dalle due donne della famiglia Cartisano alla vedova Catalano erano palesemente volte a carpire informazioni sullo stato delle indagini e sulla presenza di eventuali telecamere in zona che avessero potuto cristallizzare alcune fasi dell’agguato.
Ma ancor più strano appariva l’atteggiamento della vedova la quale, alle ripetute domande, con tono deciso e fermo, rispondeva che prima o poi la ruota doveva girare e che la verità sarebbe venuta a galla, omettendo di riferire, pur sapendolo, della presenza di alcune telecamere all’interno del condominio».
Il peso criminale
Per gli inquirenti è da ritenere concreto il fatto «che la figlia e moglie della vittima fossero ben consapevoli che le ragioni sottese alla morte del loro congiunto andavano ricercate all’interno delle dinamiche di Gallico». La figlia, infatti, parlando con un ragazzo sostiene che secondo lei a commettere l’omicidio sarebbe stato «qualcuno di Archi di Gallico». Il ragazzo la interrompe dicendole che il padre era del clan dei Condello e lei dice di saperlo. A quel punto il ragazzo fa chiaro riferimento alla guerra di mafia in quel periodo. Fiumi di intercettazioni telefoniche e ambientali avrebbero consentito di «appurare la vicinanza della famiglia alle cosche di ‘ndrangheta dominanti nel territorio di Gallico».
Movente
Chiarita nel corso di tutta la ricostruzione effettuata dagli investigatori la figura criminale di Catalano e il contesto in cui operava. Identificato da un pentito come l’uomo che «avrebbe reperito e fornito all’ex latitante Pasquale Condello, detto il “Supremo”, un’abitazione dove nascondersi per un periodo. Tra il 2011 e il 2013 aveva intrattenuto una fitta corrispondenza con il boss detenuto Ciccio Rodà. Sempre sotto il controllo dei clan più potenti della città, i De Stefano e i Condello.
I due gruppi criminali negli ultimi anni sono entrambi colpiti da arresti e condanne che hanno riguardato sia l’ala militare sia i vertici. Generando veri e propri vuoti di potere che diversi gruppi di giovani emergenti hanno da subito ambito a riempire, con l’appoggio o meno di chi guida i clan storici».
L’inizio dele ostilità tra queste fazioni risale al 2010, quando «il boss Mimmo Chirico, tra i candidati
alla reggenza di Gallico, ucciso da Giuseppe Canale, criminale in ascesa. Anche lui con mire di controllo sul quartiere, ucciso nel 2011. Il delitto ricostruito nel luglio 2018 ha visto la condanna per sette imputati, tra cui Antonino Crupi, genero del boss Chirico e un suo fedelissimo alleato».
La calma «apparente»
Pochi anni di apparente calma. Quando nel novembre del 2017 sono consumati tre gravi atti intimidatori a Gallico. Per gli inquirenti «da questi atti intimidatori è probabilmente maturato l’omicidio di Pasquale Chindemi, ucciso a colpi d’arma da fuoco li 15 febbraio 2018». Un anno dopo, con le stesse modalità dell’omicidio Chindemi consumato l’omicidio Catalano. Dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia si evince come «sul territorio di Gallico negli ultimi anni si erano creati due opposti schieramenti, entrambi con l’intento di acquisire la supremazia e il controllo sul territorio, da una parte vi erano i Chindemi-Pellicano-Bilardi con a capo suo fratello Pasquale e dall’altro i Chirico-Condello».
Nel corso delle dichiarazioni del collaboratore sarebbe venuto, inoltre, alla luce «l’intento criminoso ideato dal gruppo Chindemi ai danni di Callea dopo aver ucciso preliminarmente uno tra i suoi fedelissimi». Tra questi proprio Francesco Catalano che, come emerso dalle attività di intercettazione ambientale «aveva maturato la decisione di assumere il comando del territorio
di Gallico».
I presunti assassini
L’intesa attività d’indagine ha permesso di ricostruire come l’unico ad aver utilizzato l’autovettura usata per commettere il crimine, nel periodo in cui è stata monitorata, sarebbe stato Zlatan. E le intercettazioni avrebbero confermato il suo coinvolgimento e quello di Mario Corso.
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