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Suprema e incontrastata nel controllo del narcotraffico internazionale e capace di mantenere posizioni dominanti in contesti sempre più ampi, locali, nazionali e internazionali. Tutto questo è la ‘ndrangheta. Tutto questo è la cosca Alvaro di Sinopoli. La sola repressione, evidentemente non basta. Ha proposto questi spunti di riflessione, il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Stefano Musolino, questa mattina in occasione della conferenza stampa relativa alla maxi operazione Millennium.
«L’indagine mette in evidenza la resilienza e la capacità di mantenere posizioni di controllo della cosca Alvaro che resta dominante in moltissimi territori della provincia di Reggio. Alcune attività di estorsione fanno riferimento anche a territori estranei a quelli sui quali storicamente ha esercitato la sua influenza. È una cosa che credo ci debba interrogare e debba interrogare la pubblica opinione e tutti quelli che fanno riflessioni accurate su questi temi.
Questo a mio giudizio denota da una parte l’efficacia dell’apparato repressivo e dell’altra l’incapacità di rinnovamento sociale che sta a fondamento di queste dinamiche. Il loro ripetersi deve preoccupare molto. Ci preoccupa molto ma credo debba preoccupare molto altri attori istituzionali che dovrebbero avere il compito di rimuovere quelle condizioni sostanziali, quei presupposti che stanno a fondamento della capacità di queste persone di continuare a mantenere queste posizioni determinanti.
Il ruolo delle altre istituzioni
Questa resilienza riguarda anche i soggetti che sono già stati detenuti. Riguarda quindi anche la capacità della pena di modificare atteggiamenti e comportamenti di vita nei soggetti che sono coinvolti in precedenti indagini. Riguarda la capacità del tessuto sociale, nel quale queste persone sono inserite, di individuarle come un problema per lo sviluppo della comunità piuttosto che riconoscere loro una autorevolezza sociale che li fa diventare baricentrici all’interno di queste realtà. Questo è un problema. Saremo costretti – ha sottolineato il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Stefano Musolino – a rifare tantissime operazioni ma senza che di fatto alcune questioni che stanno alla base di questa capacità di resilienza di questi soggetti siano realmente posti in discussione. La repressione è uno degli strumenti attraverso i quali si opera ma senza investimenti economici e culturali, senza altri attori istituzionali che intervengano in quei tessuti sociali, le cose difficilmente cambieranno.
Credo che sia un’esigenza non solo reggina, ma ahimè nazionale e internazionale. Le indagini – ha sottolineato ancora il procuratore Stefano Musolino – registrano questa straordinaria capacità di muoversi nel contesto del narcotraffico internazionale. La ‘ndrangheta, come questa indagine conferma, è un player di primissimo livello. La ‘ndrangheta è sempre più problema non circoscrivibile al territorio reggino. Non è un problema esclusivamente nostro ma nazionale e internazionale rispetto al quale occorre individuare modi e strumenti di contrasto che non possono essere soltanto repressivi. Occorrono importanti investimenti sia culturali che economici da parte delle istituzioni a ciò deputate».
Estorsioni e armi per esercitare potere e controllo
«La cosca Alvaro esercita il suo potere e la sua influenza con azioni di controllo dei sistemi economici che gravitano intorno al territorio, per imprimere quella intimidazione sociale che fa dell’assoggettamento diffuso il metodo mafioso intorno al quale si muove tutto il sistema. Inoltre vi una detenzione significativa di armi e quindi un pericolo concreto, anche per la vita e l’incolumità delle persone, in particolare degli imprenditori. L’indagine ha messo in luce che continua a esserci un organo collegiale, la Provincia, che sta a capo delle organizzazioni mafiose e che viene evocato ogni qualvolta sussiste un problema che impone una decisione verticistica. Altro elemento allarmante attiene alla sua posizione dominante in tema di narcotraffico.
Il narcotraffico, di fatto, è la contestazione che facciamo in termini di 416 bis tra i reati fine. Esso sta diventando il cuore pulsante della ‘ndrangheta, la capacità autentica di restare ed essere riconosciuta al livello internazionale e nazionale, quale player decisivo dei contesti criminali in cui opera. Questa è una cosa rispetto alla quale stiamo provando a fare complesse ricostruzioni giuridiche che ha una sua complessità che stiamo provando a fronteggiare. E però è una realtà che vede queste cosche anche al centro di tensioni e fibrillazioni, ma anche delle sinergie operative, funzionali a risolverle. Con i numeri che la ‘ndrangheta muove, con le capacità di alleanze che tesse, le definizioni territoriali, le stesse definizioni di cosca tendono a disperdersi, per confluire invece in una gestione diretta di cui traffico nell’ambito di alleanze sempre piuttosto fluide.
Rialzare il livello di attenzione
Occorre ritornare a considerare la ‘ndrangheta, perché a mi pare che da questo punto di vista vi sia stato un calo di attenzione significativo, come soggetto dominante di alcune dinamiche. Se noi perdiamo questa considerazione, ci ritroveremo qui ad affrontare, come se fosse uno spot improvviso nell’ambito di un’apparente tranquillità, l’accertamento di dinamiche così pericolose e così inquinanti dei sistemi sociali ed economici dei nostri territori senza avere soluzioni e modelli alternativi. Soluzioni e modelli che non possono che passare da una consapevolezza sociale della gravità dei fenomeni». Così ha concluso il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Stefano Musolino.

