«Antonino Scopelliti. 34 anni senza verità e giustizia.

Come fosse ieri l’ultimo saluto dalla finestra di casa. Le mie manine tese, tu che mi regali un ultimo sguardo, tu che sorridi. Se lo avessi saputo non ti avrei lasciato andare. O forse sì, perché lo sapevo. Sapevo che non eri mio, ma del nostro Paese. Un servitore dello Stato. Si dice così di chi fa della sua vita una missione volta al bene della collettività. Di chi fa del senso del dovere la sua ispirazione di vita. Di chi vive per la giustizia, per quel senso di bene supremo che dovrebbe garantire che tutti siano trattati in modo equo, secondo ciò che è giusto e dovuto, rispettando i diritti di ciascuno sanciti dalla legge. Ma cosa sia la Giustizia lo sanno in pochi. Cosa sia davvero, intendo dire.

Da anni infatti chiediamo a gran voce e talvolta anche con silenzio assordante giustizia per te. Per la tua morte. Chiediamo verità. Chiediamo che sia riconosciuto alla tua famiglia e al Paese intero il diritto di sapere perché è per volere di chi non hai potuto vivere la tua vita, invecchiare, guardare albe e tramonti accanto a noi.

Da anni ho nel cuore la parola “giustizia”. Quella per cui hai scelto di vivere e di sacrificare la tua vita. E ancora oggi io non riesco a trovare il senso. Forse perché giustizia non c’è, ci sono leggi, ci sono parole, ci sono intenzioni. E poi. Poi.

Aspettiamo.

I passi avanti, i tasselli di un immenso puzzle che sembra possano tornare al loro posto per mostrarci la verità. E il tempo che scorre. Aspettando giustizia. Attese. Anni che ingrigiscono i capelli, che minano le speranze, che lasciano spazio alla rassegnazione.

Abbiamo fiducia.

Si, quella non manca mai.

Serve per non affondare nell’immensa palude delle mezze verità, dei nomi che si sussurrano, si ammiccano, ma non si possono fare. Nelle strade che diventano circuiti. Si va veloce per rimanere nello stesso posto. Però ci si è mossi in qualche modo.

Ma la fiducia si, ci permette di credere che uomini come te, con i tuoi stessi valori, non ti abbiano abbandonato. Che questa giustizia un giorno possa accompagnare con mano pietosa anche il tuo cammino verso la luce.

Io non lo so cosa succederà, non so se potrò mai spiegare a mia figlia cos’è la giustizia. Ma so che non ci sarà giorno che non sarà speso per ricordare te. Per combattere perché tu non sia l’ennesima vittima di una giustizia, cercata, inseguita, negata. Questo ti prometto che non lo permetterò non solo perché sei mio padre, ma perché siamo tutti servitori di uno Stato che non può e non deve permettersi zone di ombra e verità negate.

Abbiamo la responsabilità delle nuove generazioni, dei bambini a cui va spiegato che chi fa bene è nel bene, mentre il male viene punito. Abbiamo bisogno di raccontare esempi, di mettere un finale ai racconti sui nostri martiri. E che “la giustizia arriverà”, non è una frase concepibile dopo 34 anni o anche più. Abbiamo bisogno di raccontare che il bene vince senza timore di essere smentito dal tempo.

Andiamo avanti papà.

Come disse il tuo amico Giovanni Falcone “la gente fa il tifo per noi” e la tua gente, ancora oggi, stai tranquillo che fa il tifo per la verità».