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di Alessia Truzzolillo – «In risposta all’omicidio di Giuseppe Mesiano hanno ucciso il figlio di Peppino Corigliano». Nell’aula di Corte d’Assise di Catanzaro parla il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena, 49 anni, ex esponente della ‘ndrangheta di Vibo Valentia. L’omicidio di Angelo Antonio Corigliano, racconta, avvenuto il 19 agosto 2013 nel centro abitato di Mileto, sarebbe stato voluto per vendicare la morte di Giuseppe Mesiano. Sangue chiama sangue.
Bartolomeo Arena racconta di avere appreso questi fatti da Leoluca Lo Bianco, detto U Ruzzu, perché il suo gruppo coi Mesiano «aveva dei comparaggi». Arena aggiunge di aver appreso che ad essere coinvolti nell’agguato erano «Salvatore Pititto e uno dei fratelli Iannello», racconta senza specificarne il nome.
Arena aggiunge poco altro: che i sicari «hanno usato uno scooter e usato una pistola», che «Salvatore Pititto aveva un ruolo verticistico ed era reggente quando non c’era suo cugino».
Il pentito racconta di aver parlato di questa vicenda con Leoluca Lo Bianco intorno al 2015/2016 e rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Di Renzo specifica che all’epoca il suo interlocutore aveva la misura della sorveglianza speciale. Il difensore gli chiede il perché di una rivelazione ritenuta inedita: il concorso nell’omicidio di uno dei fratelli Iannello in aiuto a Salvatore Pititto.
Arena risponde di averlo detto perché gli era venuto in mente. E per quanto riguarda i Iannello spiega di avere conosciuto un Rocco Iannello negli anni vicini alla sua collaborazione e di avere saputo che aveva un fratello. La conoscenza sarebbe avvenuta tramite un uomo che aveva un negozio di telefonia.