«Questa è, a mio modo di vedere, un’operazione che dà una serie di risposte. Dà risposte, intanto, al grande sforzo investigativo che costantemente viene portato avanti, e questo lo si ricava dai riferimenti che avete già sentito, a partire dall’operazione Malea, da cui questa trae origine. Proprio perché, e questo credo sia noto, il lavoro non si interrompe mai. Non si interrompe mai, perché i fenomeni su cui siamo chiamati a lavorare sono fenomeni di tipo permanente». E’ quanto ha dichiarato il procuratore Lombardo nel corso della conferenza stampa in merito all’operazione denominata “Pratì” che ha visto impegnati più di 120 agenti nei territori della provincia reggina di Platì e Siderno.

«Il sistema che il provvedimento cautelare eseguito oggi ricostruisce nel dettaglio, beneficia dell’appoggio di una serie di intermediari. Ma, in particolare, di un intermediario stabilmente dimorante in Colombia, che nel tempo è riuscito a stabilizzare quelle relazioni che rendono la ’ndrangheta l’interlocutore principale nell’ambito del narcotraffico internazionale.

Ecco, questo è quello che ci siamo detti tante volte, e che abbiamo — voglio dire — anche ricostruito tante volte in ambito giudiziario. Quindi, quel modello che ovviamente delocalizza all’estero tutta una serie di componenti, che stabilmente interagiscono con altri gruppi: questa è la ’ndrangheta e la sua proiezione internazionale.

Per poi programmare le spedizioni, per poi — ovviamente — andare anche a individuare sempre nuovi canali di trasferimento del narcotico, dal Sud America, e quindi dai Paesi produttori, all’Italia e quindi all’Europa.

Anche sperimentando dei metodi, che apparentemente sono meno significativi rispetto al classico carico di cocaina che, attraverso le rotte marittime, raggiunge i nostri territori, ma che sono invece enormemente allarmanti, nella misura in cui diventa davvero difficile andare a ricostruire, dal punto di vista investigativo, quel tipo di spedizione.

Quel tipo di spedizione: quindi il chilo di cocaina purissima contenuta in chicchi di caffè, che è transitato dall’Italia partendo dalla Colombia, verso l’Italia e poi verso l’Europa, attraverso un semplicissimo pacco affidato al corriere DHL, che ovviamente è del tutto estraneo a questo tipo di condotte.

A mio modo di vedere, questo pone un ulteriore campanello d’allarme rispetto alla loro capacità operativa. Perché ritengo che ci si debba soffermare un attimo su questo aspetto: noi abbiamo individuato una singola spedizione, ma siamo assolutamente convinti che quel metodo sia un metodo assolutamente valido.

E, purtroppo, riteniamo sia ormai stabilmente fissato. Perché? Perché nell’operazione Pratì si ricostruisce questo tipo di situazione, ma abbiamo tracce anche del passato di situazioni analoghe.

E quindi, siamo in grado di dire se il pregresso lavoro che è stato svolto ci ha lasciato in possesso di questo tipo di condotte che non si tratta di una novità assoluta, ma, piuttosto, di un sistema.
Chiamiamolo alternativo, ma che di alternativo non ha nulla rispetto a quello che normalmente consideriamo essere il metodo classico di trasporto della sostanza stupefacente verso i nostri territori.

Noi il plico lo abbiamo individuato. Lo abbiamo sottoposto a sequestro presso il centro di smistamento dell’aeroporto di Ciampino, a Roma, perché — ovviamente — l’investigazione ci ha consentito di individuare quella spedizione, quindi quella specifica modalità di transito.

Ma è certamente un metodo di occultamento e di rifornimento che la ’ndrangheta è in grado di utilizzare, e che — ritengo — non sia assolutamente da considerare un episodio isolato.

E quindi, qual è l’ulteriore traccia che si ricava da una situazione del genere? Una traccia che ci consente di dire che non ci sono ambiti non gestiti, non ci sono ambiti non programmati, non ci sono situazioni che mandano in crisi il sistema.

Perché quel sistema è in grado di trovare soluzioni sempre nuove ed efficaci per mantenere vivo e vitale quel canale di collegamento e di trasferimento.

Ecco perché io sottolineo, per l’ennesima volta, che bisogna andare oltre il singolo carico, per ricostruire l’operatività della ’ndrangheta quale componente stabile del sistema internazionale di gestione del narcotraffico. Soprattutto se parliamo di sostanze stupefacenti del tipo cocaina.

È inutile che vi dica che tutta la filiera è in grado di garantire ulteriori passaggi, rispetto al trasferimento della sostanza stupefacente. Perché abbiamo tracce di programmazione delle spedizioni in modo sicuro. Abbiamo, ovviamente, traccia di una programmazione molto attenta, che parte dal rapporto stabile con i narcos, tracce di quella che è la predisposizione di tutti i documenti necessari a gestire il carico e lo scarico della merce, i viaggi nave, l’individuazione delle navi da utilizzare.

Tutto questo non avviene per caso.

E quindi, noi oggi siamo di fronte all’ulteriore conferma di quello che è il ruolo della ’ndrangheta a livello internazionale, di quale sia l’enorme forza della struttura criminale che in questo territorio ha avuto origine, e di quanto sia compenetrata la sua operatività con quella di altri gruppi criminali riferibili ai Paesi produttori a livello mondiale della sostanza stupefacente a più alta redditività che si conosca in questo momento storico, che è, appunto, la cocaina, e che dispone di enormi spazi di mercato.

La ’ndrangheta persegue nei suoi territori tradizionali, e ovviamente nei territori dove è presente, in Italia e all’estero. E quindi: programmare la produzione di sostanze stupefacenti anche di altro tipo,
realizzare coltivazioni altamente specializzate di canapa indiana, che poi viene stoccata, confezionata, commercializzata e immessa sul mercato.

A mio modo di vedere, ci lascia un’ulteriore traccia di quello che è un approccio globale a un mercato che va oltre la cocaina. Lo fanno gli stessi gruppi. Abbiamo la traccia di un’opera che si allarga. Lo fanno nello stesso arco temporale. Ecco perché vi parlo di approccio industriale.

Perché non abbiamo il gruppo isolato di soggetti che, in un determinato momento storico,
coltivava per poi distribuire sostanze stupefacenti considerate “minori”, rispetto a quelle tipicamente riferibili al narcotraffico internazionale.

Lo fanno attraverso una programmazione attenta, finalizzata a completare la loro operatività,
a coprire spazi di mercato che non devono essere lasciati a nessuno.

Quindi, mentre interagiscono con il Clan del Golfo a livello internazionale, portano avanti altre operazioni su mercati apparentemente minori. Ecco l’approccio totalizzante che la ’ndrangheta ha sempre avuto.

Ecco perché un’operazione come quella di oggi, che ricostruisce un arco temporale apparentemente limitato, è in grado comunque di dare risposte investigative di grande rilievo».