La figlia del magistrato ucciso dalla mafia replica alle parole del ministro della Giustizia: «Non posso accettare che si parli di resa perché la verità non è mai opzionale»
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Farebbe quasi ridere se non fosse tutto drammaticamente vero. Se un cittadino può ascoltare e filtrare le parole di un ministro sulla ricerca della giustizia a distanza di anni, i figli e i cari delle vittime che ancora sperano nella verità ne restano trafitti.
Così è accaduto a Rosanna Scopelliti, figlia del magistrato Antonino Scopelliti ucciso dalla mafia nel 1991, che anno dopo anno ha atteso e cercato la verità e che quest’anno ho visto un barlume nella riapertura del caso, a quelle parole non sono rimasta indifferente.
Non è rimasta in silenzio e apre la sua dura replica al ministro della Giustizia Carlo Nordio, che nei giorni scorsi aveva affermato come, nei processi che si trascinano per decenni, “il tempo non sia solo padre della verità, ma anche padre dell’oblio”, invitando a lasciare agli storici il compito di ricostruire vicende troppo lontane nel tempo.
Una posizione che la Scopelliti definisce “opinabile” e profondamente dolorosa per chi, come lei, da 34 anni attende verità e giustizia per un familiare ucciso.
La verità serve ai familiari per andare avanti
Rosanna Scopelliti richiama con forza l’importanza della giustizia come pilastro di uno Stato che non può mai cedere all’oblio: «Verità e giustizia non sono da mettere in dubbio mai, né oggi né tra 10, 15, 20 o 300 anni. Servono ai familiari delle vittime di mafia, ma anche a tutte le vittime in generale, per poter andare avanti, per avere qualcosa a cui aggrapparsi nel cammino quotidiano, per raccontare ai propri figli il motivo del dolore che anche loro subiscono. È necessario per credere che lo Stato esiste e che le istituzioni sono presenti.»
E aggiunge, con parole nette: «Lo Stato non si arrende. Non può arrendersi né al tempo né all’oblio. La verità è necessaria, anche al costo di attendere. Si può attendere, ma non si può accettare che ci venga chiesto di rinunciare.»
Non c’è coraggio nella resa
Nelle sue dichiarazioni, Scopelliti denuncia il rischio che messaggi come quello del ministro possano minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni: «Non è pensabile che chi rappresenta oggi la giustizia italiana possa assumersi la responsabilità di dire il contrario. Di chiedere di abbandonare, di arrendersi. Il lancio della resa non è un atto di coraggio: la resa non esiste, non deve esistere. Lo Stato rappresenta tanti morti ammazzati per la nostra patria e non può arrendersi né al tempo né all’oblio.»
Rivendicando il lavoro e l’impegno di tanti magistrati che ancora oggi combattono per la verità, la figlia del giudice Scopelliti aggiunge: «Credo nel lavoro della magistratura, credo nei magistrati che mettono l’anima e sacrificano la propria vita. Non si può chiedere loro di arrendersi. Lo Stato deve sostenerli, non scoraggiarli.»
Mi sento ferita da figlia, da cittadina e da madre
Scopelliti confessa la difficoltà di restare in silenzio di fronte a parole che, a suo dire, tradiscono il senso profondo delle istituzioni: «Mi sento molto in difficoltà, da figlia e da cittadina di questo Paese, a rimanere indifferente. Comprendo lo sconforto – lo stesso che ho vissuto anch’io, tanto da non partecipare per anni alla commemorazione di mio padre – ma questo non vuol dire arrendersi. Non potrò mai dire a un bambino o a un ragazzo che bisogna lasciar andare la battaglia per la giustizia.»
La figlia del magistrato assassinato ricorda la missione che porta avanti con la Fondazione a lui intitolata: «Quando parlo ai ragazzi dico sempre: scegliete da che parte stare, perché quella dello Stato è la parte giusta. La giustizia magari tarda, ma arriva. E invece oggi ci viene spiegato che, dopo tanti anni, bisogna lasciar perdere. No. Io non mi arrendo. E non posso accettare che lo faccia lo Stato.»
Il coraggio non è lasciare andare, ma continuare a cercare la verità
Nel suo intervento, Scopelliti richiama la figura del padre e il senso del suo sacrificio: «Papà ha dato la vita per la nostra patria, per garantire verità e giustizia a chi cercava conforto nella legge. È stato ucciso per aver voluto cercare la verità, portando il peso della solitudine e l’impopolarità del ruolo. E questa è l’identità delle istituzioni: quella che non ammette la resa.»
Da cittadina, madre e rappresentante delle istituzioni, chiede al ministro Nordio di essere un esempio di fiducia e perseveranza: «Dal ministro della Giustizia del mio Paese mi sarei aspettata un’iniezione di coraggio, non il coraggio di lasciare andare, ma quello di continuare a perseverare accanto ai magistrati e agli inquirenti. Perché nessun delitto rimanga impunito.» Lo Stato non getta la spugna.

