Il ricordo affidato ai social dal giornalista Consolato Minniti ripercorre il profilo umano e professionale di un dirigente della Polizia di Stato rimasto lontano dai riflettori, ma centrale in anni delicati dell’attività investigativa reggina
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È morto Gennaro Semeraro, dirigente della Polizia di Stato ed ex capo della Squadra Mobile di Reggio Calabria. La notizia della sua scomparsa è emersa nelle ultime ore. Semeraro ha ricoperto incarichi di primo piano in contesti investigativi complessi, distinguendosi per uno stile operativo improntato al rigore istituzionale e al rispetto delle regole. La sua carriera si è sviluppata lontano dall’esposizione mediatica, con un profilo riservato e concentrato esclusivamente sul lavoro.
A ricordarne la figura, il percorso professionale e umano, è il giornalista Consolato Minniti, che ha affidato ai propri canali social una lunga riflessione.
«Ieri sera, scrollando distrattamente la homepage di Facebook, ho appreso della prematura scomparsa di Gennaro Semeraro. A molti miei contatti questo nome potrebbe dire poco, poiché Gennaro era una persona caratterialmente schiva, riservata, poco avvezza alle luci della ribalta. Eppure, si tratta di uno dei migliori servitori dello Stato che abbia mai incontrato nella mia ormai discreta esperienza giornalistica e giudiziaria».
Un profilo lontano da qualsiasi forma di autocelebrazione, costruito sul lavoro quotidiano e su una concezione rigorosa del servizio pubblico. «Gennaro Semeraro era un Poliziotto. E lo scrivo volutamente con la “P” maiuscola, perché credo che abbia incarnato quello che dovrebbe essere il prototipo dell’investigatore. Se vi aspettate di trovare titoli roboanti, pagine di giornali che ne raccontino le gesta, probabilmente rimarrete delusi. Le cronache, su di lui, sono piuttosto scarne. E non perché non abbia conseguito risultati tangibili».
La sua carriera, segnata da scelte nette e valori definiti, ha avuto uno dei passaggi più delicati quando fu chiamato a guidare la Squadra Mobile di Reggio Calabria.
«Semeraro era un fedele servitore dello Stato che aveva deciso di dare alla sua professione una direzione integerrima, unita ad un’umanità che raramente ho riscontrato. Ho incrociato la strada del dottor Semeraro nel periodo in cui è stato a capo della Squadra Mobile di Reggio Calabria, raccogliendone l’eredità da Renato Cortese. Un periodo delicatissimo, dove, probabilmente, chi lo ha designato sapeva di aver fatto la scelta più giusta possibile».
Nel ricordo emerge soprattutto il tratto umano, mai disgiunto dal rigore. «Semeraro è stato un esempio di equilibrio, garbo e professionalità. Ha usato toni sempre pacati, con uno sguardo rassicurante e mai accusatorio. Quando è stato chiamato a svolgere il proprio dovere, l’ha fatto con rigore, senza tentennamenti e senza mai anche solo sognarsi di oltrepassare le linee rosse del rispetto della legge e delle persone».
Un modo di essere che ha lasciato tracce profonde anche tra i colleghi. «Credo, però, che per descriverlo non vi siano parole migliori di quelle utilizzate da uno dei poliziotti più capaci transitati dalla Questura di Reggio Calabria, Giuseppe Giliberti, che ieri ha sintetizzato così: “Ti dobbiamo quello che siamo”. Se a dirlo sono gli uomini che hai avuto l’onore di coordinare, allora significa che la traccia che conta l’hai saputa lasciare eccome».
La riflessione finale chiarisce il senso stesso di questo ricordo pubblico. «Qualcuno si domanderà perché io abbia deciso di scrivere queste righe per ricordare Gennaro Semeraro. La risposta è semplice: perché non troverete quasi nessuna notizia sulla sua morte. Ed invece, un fedele servitore dello Stato merita di essere ricordato pubblicamente. Che la terra le sia lieve, caro dottor Semeraro. Io non dimentico».

