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Bronzi di Riace, la bellezza del mito approda su Rai Storia

Un racconto accorato che ripercorre il percorso delle due statue nel documentario di Brigida Gullo, con la collaborazione di Andrea Angelini

Bronzi di Riace, la bellezza del mito approda su Rai Storia

I due guerrieri sono stati i protagonisti del viaggio nella bellezza dal titolo “I bronzi di Riace: storia di un mito” in onda dal 24 ottobre con più repliche Rai Storia. Il documentario di Brigida Gullo, con la collaborazione di Andrea Angelini. Un racconto intimo e accurato che ripercorre il percorso delle due statue dal momento in cui furono «strappate al placido sonno nel mare» fino alla loro attuale collaborazione.

Un racconto che parte dalle parole di Marcello Miccio restauratore chimico, e la sua “emozione” da tecnico che, per la prima volta, li vede in piedi, dopo 5 anni. Per Maurizio Paoletti, docente di archeologia classica all’Università della Calabria: «Il bello dei Bronzi sta nel guardarli con occhi ingenui all’inizio e poi capirne i segreto. Richiede umiltà da parte degli archeologi».

Il ritrovamento


La storia più recente dei bronzi comincia nella spiaggia di porto Forticchio il 16 agosto 1972, a Riace. Il racconto di Stefano Mariottini, il sub che prima di toccarli e sentire il materiale duro di cui erano fatti li scambiò per cadaveri. Pietro Giovanni Guzzo, archeologo dell’Accademia dei Liricei, che andò a nuoto e li vide sott’acqua mentre ancora giacevano sul fondo del mare. Il viavai di persone nei giorni del recupero in mare. Di nascosto in riva alla spiaggia le anziane del luogo che pregavano i santi Cosma e Damiano, come i guerrieri, secondo la leggenda, erano venuti dal mare.
Il sindaco Giuseppe Zurzolo, dal 1970 al 1980, descrive Riace come un paese ancora arretrato. Ma qualcuno tra i può colti aveva capito che le «Statue avrebbero potuto portare il miracolo che in tanti avevano cercato andando via».

La cura


Dopo il ritrovamento e le prime cure si capisce che le statue hanno bisogno di un restauro con strumenti particolari e vengono portate al centro restauro di Firenze in Toscana, nato per la sistemazione del patrimonio artistico danneggiato dal fango. E così, tra lo stupore generale, Renzo Giachetti restauratore, scopre le ciglia. L’altro restauratore, Edilberto Formigli, la bocca, togliendo le incrostazioni e illuminando il rame messo lì per dare un contrasto al resto della pelle. Una prima esposizione viene fatta nel salone del Nicchio, inaugurato il 15 dicembre 1980.

Grazie al passa parole le due statue vengono ammirate da tantissime persone. L’esposizione, che avrebbe dovuto concludersi a gennaio, viene prorogata al 24 giugno. Come ricorda Mario Iozzo direttore del museo di Firenze: «C’erano file che questo museo non aveva mai visto. E le persone chiedevano: “Chi era sto Riace?”». Gli studiosi non comprendevano ancora l’importanza della scoperta. Le persone volevano vederli per ciò che erano. Il pubblico fu più attento e perspicace degli studiosi.

Il successo

Dopo sei mesi e mezzo milioni di visitatori. Il rientro al museo di Reggio scelto come meta definitiva viene rimandato. Ma come delle pop star in tour ricevono l’invito a Roma fatto dal presidente della Repubblica, che li vuole a Roma alle scuderie del Quirinale. Presenti giornalisti stranieri e stampa estera. Dal 29 giugno, giorno dei patroni, i santi Pietro e Paolo, i romani arrivano dalle 6 del mattino a fare la fila. Il delirio collettivo per i guerrieri giunti dal mare non risparmia i cittadini di Roma. Gli ingredienti per la nascita del mito ci sono tutti. Lo stesso a Reggio dove, con oltre 200mila presenze in pochi mesi, il museo da allora divenne la casa dei bronzi.

Il mito

Le modalità della scoperta per Paoletti è una sorta di «pesca miracolosa. Era il recupero di qualcosa che sconvolgeva le nostre conoscenze». Vengono creati poster, magliette e souvenir e due francobolli da 200 lire, coniati dalla Zecca di Stato per portare l’immagine delle due statue nel mondo.

«I Bronzi nell’utopia del passato di ritrovare in esse la bellezza del passato» iniziano ad essere oggetto di richieste. L’America li vuole per le Olimpiadi di Los Angeles del 1984. All’epoca Renato Guttuso affermò «la necessità di non buttare in pasto alle masse le opere d’arte». Oggi sappiamo con certezza che lo spostamento non è praticabile. È vero sembrano di bronzi invincibili e forti i bronzi. Ma le due statue sono delicate nella parte invisibile, all’interno.

La ricerca

Tocca all’archeologica restituire alle statue la loro identità. Ci pensa la laparoscopia come spiega Mario Miceli, archeologo dell’università Roma Tre che racconta dell’utilizzo di strumenti azionati e che si muovevano all’interno delle due statue. La terra residua viene scavata per sezioni topografiche e regala importanti informazioni. Il dna dallo studio dei nanofossili identifica la provenienza delle due statue da Argo.
A Carmelo Malacrino, direttore del Museo archeologico nazionale di Reggio le ultime parole. Secondo lo studioso serve «Un nuovo momento di verifica per conservare le due statue per le nuove generazioni». Perché i Bronzi non sono solo i «simboli del museo, ma mi piace pensarle come icone del territorio e messaggeri tra l’oriente del mondo greco e l’occidentale della Magna graecia: capolavori del Mediterraneo».

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