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“Siamo Oriente” è il nuovo canto dei Mattanza. Una nuova promessa di fedeltà alle radici di una terra in punta alla Calabria, al confine tra i due mondi, l’Oriente dimenticato e l’Occidente globalizzato. Una terra al confine tra l’oscurità delle tenebre e la luce ostinata di una natura che resiste, di una speranza che rinasce sempre. Una terra sospesa tra le rocce antiche e il mare azzurro.
Il brano, ispirato alle parole di Gioacchino Criaco, è stato musicato da Mario Lo Cascio, anche interprete con Rosamaria Scopelliti, con il prezioso contributo di Teo Megale alla fisarmonica.
“Siamo Oriente” è stato presentato ieri, attraverso il video musicale curato da Claudio Martino e Giuseppe Condemi, nel quale parte integrante della narrazione in parole e note sono anche i gesti sapienti dell’artigiano Nicola Tripodi e della figlia Valentina, decoratrice. Il video è stato proiettato nell’auditorium Monsignor Gangemi del santuario di San Paolo a Reggio Calabria, in occasione di un incontro moderato dalla giornalista Giulia Polito e scandito da canzoni e testimonianze.
«Ogni concerto è un’occasione di incontro in cui sperimentiamo e siamo parte ogni volta di una magia sempre diversa», ha raccontato il talentuoso fisarmonicista Teo Megale.
Nasce, dunque, da un incontro magico questo brano. Complici l’evocativa commistione tra italiano e dialetto e i paesaggi incontaminati della spiaggia delle tartarughe marine di Spropoli, alle pendici del faro di Capo Spartivento, di ciò che resta di Brancaleone Vetus e del mistero e del fascino intramontabili di Pentedattilo, “Siamo Oriente” diventa un viaggio di ricerca e di scoperta di una identità di cui riappropriarsi.
«La spiaggia di Spropoli è un luogo eletto in cui sei dentro l’Oriente. È la punta avanzata di quello che è il nostro mondo che si incunea dentro il mondo Occidentale. È un luogo che sento appartenermi. Sento appartenere il mio Oriente dell’adolescenza quando la mia professoressa di Italiano, figlia del vecchio guardiano, ci portava a visitare il faro di Capo Spartivento. Un luogo di magia pura nel quale sono tornato, facendo un viaggio a ritroso nel tempo. Lì ho ritrovato quella dimensione che spesso, girovagando per l’Occidente, dimentichiamo. Spesso ci dimentichiamo del Mediterraneo che ci sta intorno e dentro», ha raccontato lo scrittore Gioacchino Criaco.
Dall’Aspromonte allo Ionio
«Quel tronco sulla spiaggia, come me probabilmente, scende dal cuore dell’Aspromonte, dalla montagna da dove anche io arrivo. Anche io sono stato portato dal mare, essendo sceso, dopo un’alluvione, dopo la fiumara ingrossata, a valle, dentro lo Ionio. È il nostro destino. Non si tratta di essere fatalisti. Noi viviamo un pò di qua e un po’ di là, sulle sponde del Mediterraneo. Questa è l’unica dimensione alla quale possiamo fare riferimento. La prospettiva che abbiamo dimenticato di avere, guardando per oltre un secolo dall’altra parte. Forse dalla parte sbagliata. Non abbiamo guardato giù, che in realtà non è sotto ma è solo intorno e dentro di noi», ha sottolineato Gioacchino Criaco.
Un’identità che conosce il buio delle tenebre ma che schiude costantemente alla luce. Un’anima in cui il lato oscuro è viatico dei una luce inesauribile. Una contraddizione che si scioglie in speranza come fa la distruzione quando apre alla trasformazione.
«Dal buio più profondo, nonostante tutto, la luce e la speranza resistono e spazzano via ogni tenebra. Con la natura siamo parte di un connubio talmente profondo da essere un’unica essenza. Nella natura ritroviamo la direzione tornando ad amarla, come facevamo un secolo fa, e riconquistare il nostro centro che è esattamente qui e non altrove».
Un’ispirazione che è prospettiva e futuro
«Un’ispirazione, una mattina al balcone, ed ecco che queste parole hanno preso vita per poi trasfondersi nel libro “Il Custode delle Parole” e nel brano “Siamo Oriente” dei Mattanza.
L’iniziale disorientamento che ho provato, come al momento delle passate trasposizioni cinematografiche, oggi è la bellissima sensazione di contribuire con le mie parole all’incontro di tante espressioni artistiche. Una moltitudine di sentimenti e di colori necessaria per raccontare tutta la bellezza e la meraviglia che ci circonda.
Oggi quelle mie parole non potrebbero più vivere senza quella musica. È stata per me, che ho sempre amato i Mattanza, una sorpresa bellissima. La straordinaria voce di Rosamaria Scopelliti ne ha fatto una sorta di miracolo, come quelli che l’Oriente sa ancora produrre». Così ha raccontato ancora Gioacchino Criaco, alla sua prima apparizione in un video musicale ma anche alla sua prima in video, visto che altri camei in documentari sono ancora in lavorazione.
Le parole che chiamano
«Appena ho letto il post di Gioacchino Criaco, sono rimasto colpito. Sembrava già un testo per una nostra canzone. Subito mi sono messo a musicarla e poi l’ho lasciata a decantare, riprendendola in seguito. Con il suo permesso, ho tradotto in dialetto alcune parti, adattandole per la musica. In qualche misura è stato ancora più stimolante che musicare parole e testi nostri.
Poi le parole di Gioacchino erano e sono talmente evocative che sembravano attenderci. Sembravano scritte per I Mattanza. Le ho sentite subito familiari al nostro progetto, fedeli al nostro modo di essere. È stata una magia», ha raccontato Mario Lo Cascio, chitarra, lira calabrese e voce dei Mattanza.
«Apriamo il brano, come lui apre il suo scritto, con la segale e il pane scuro ma non abbiamo potuto mantenere gli altri riferimenti al cibo che molto mi avevano colpito. Di Gioacchino apprezzo, inoltre, la franchezza. Lui non fa sconti alla nostra terra e al nostro popolo e nella sua scrittura, nel suo descrivere come siamo, ci mette dentro la giusta lucidità. Pensiamo alle diaspore e ai traditori che purtroppo continuano a danneggiare la nostra terra. Una verità di ieri e anche di oggi», ha sottolineato ancora Mario Lo Cascio.
La ricerca linguistica e la connessione intima con i luoghi
«Tutto è stato frutto di profonda ispirazione e di ricerca di sonorità composite, musicalità e orizzonti linguistici che si intrecciano e si incontrano. Questa è la missione alla quale siamo consacrati e che onoriamo con il nostro lavoro accurato, sempre guidato dallo spirito del nostro Mimmo Martino», ha spiegato Rosamaria Scopelliti, voce e percussioni dei Mattanza.
«Siamo grati a Gioacchino per le sue parole che hanno consentito al nostro percorso artistico di arricchirsi di nuovi passi condivisi. Passi artisticamente anche molto sofferti. È stato impegnativo esplorare linguisticamente il brano del testo di Gioacchino che richiama le diaspore e i traditori che costantemente minano il popolo di luce che noi siamo, puntando a trasformarlo nel lampo di un giorno in creature del tramonto.
Ecco la lingua, con le sue contaminazioni con il dialetto, resta veicolo fondamentale con il quale trasmettere il senso delle cose. Poi ci sono i luoghi incantati e solitari che ci hanno consentito di entrare con essi in piena e intima connessione. Una condizione essenziale per attingere alla tavolozza dei colori del nostro Mimmo, che andava proposta con la musica giusta. Tutto questo è Siamo oriente». Lo ha spiegato la cantante Rosamaria Scopelliti.
Parole, musica … e arte
«Ero compagno di scuola di Mimmo Martino quando frequentavo il liceo artistico. Dunque un legame con i Mattanza c’era e c’è ancora. Per questo l’incontro in occasione di questo video musicale è stato molto naturale. Io lavoravo nel mio laboratorio e loro mi stavano intorno. Tutto molto spontaneo. Io lavoro l’argilla. Lo trasformo in terracotta e ci metto dentro le mie sensazioni e racconti dei miei avi e delle persone vicine. Li custodisco e sento l’esigenza di trasformarli in oggetti che permangano e che continuino a narrare.
La mano di Pentedattilo è per me molto rappresentativa come anche i volti umani che mi attraggono e mi incuriosiscono in modo particolare. Poi mi piace molto plasmare capre, rappresentandole anche in modo ironico e giocoso. Sento un legame viscerale con questo animale, simbolo di Gallicianò dove mia nonna era nata. L’arte è la mia vita, il mio modo di stare al mondo», ha raccontato l’artigiano Nicola Tripodi che lavora nel suo laboratorio denominato Arghillà, come gli antichi quartieri degli artigiani.
Il post di Gioacchino dal quale tutto nasce
«Siamo Oriente nella segale che discende le montagne per fare scuro il nostro pane. Nella curcuma che apre l’anima dei ceci e sventra la pancia ai fagioli. Nell’origano sui pomodori, il cumino e la cannella dei sughi, la menta sopra le patate. Siamo Oriente nel fiato che si riscalda sul mare e arrotola la polvere delle nostre strade, mischia il respiro del pino laricio e del ginepro fenicio alla saliva salmastra dello Jonio.
Lo siamo negli enigmi dei volti delle donne a cui apparteniamo, imperi inconquistabili di fascino. Oriente nei sorrisi aperti dei nostri uomini, nelle trame che crescono nell’ombra, nella loro luce e nel loro buio, nell’eroismo di pochi e nel tradimento dei più, compagni di un viaggio millenario che molte volte annaspa fra bene e male.
Siamo Oriente in un futuro che è già stato, in un passato che ritornerà, tutti a farci compagnia in un presente scolpito e dannato nel cielo madonna di Nik Spatari. Siamo L’Oriente della luce complementare che tridimensiona tutto.
Come tartarughe nate su sabbie intinte nell’olio e nel vino, fritte e bollite. Questo siamo e questo saremo, e non saranno diaspore e giuda a trasformarci, tutti, in creature del tramonto» – Gioacchino Criaco.