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C’è un premio, nato a Reggio Calabria, che parla forse più lingue delle Nazioni Unite. Un premio che ha scelto di non avere confini, se non quelli del cuore e della parola. Il Premio Mondiale di Poesia Nosside, giunto alla sua quarantesima edizione – il cui termine ultimo di partecipazione è fissato al prossimo 10 luglio -, è ormai un qualcosa in più di un semplice concorso: è una missione culturale planetaria, un atto d’amore per le lingue minoritarie, per i dialetti, per i poeti dimenticati, per le parole che rischiano di non essere mai pronunciate.
Il Professore Pasquale Amato, fondatore e presidente del Premio Mondiale, ne parla con una passione che non ha subito l’usura del tempo. «Nosside è l’unico concorso al mondo aperto a tutte le lingue, tutte le culture, tutti i generi espressivi, tutte le forme poetiche». E il tono con cui lo dice non è quello della celebrazione, ma della lotta.
Da Reggio al mondo: quarantadue anni di semine silenziose per un laboratorio di umanità
Quando nel 1983 Amato decise di fondarlo, nessuno avrebbe scommesso sul fatto che un concorso nato in una terra periferica, senza sponsor, senza appoggi istituzionali forti, potesse fare così tanta strada. «All’inizio eravamo pochissimi. Avevamo solo la passione e la visione», racconta. E da quella visione è nato un premio che oggi ha toccato oltre 110 Paesi, coinvolgendo migliaia di poeti che scrivono in lingue spesso dimenticate: dal guaranì allo zulu, dal friulano all’armeno, dallo swahili al grecanico.
La scelta delle lingue minoritarie non è folklorismo, ma un preciso atto di resistenza culturale. «Ogni lingua che muore è un mondo che scompare. Noi cerchiamo di salvarne almeno una scintilla, attraverso la poesia».
E la scintilla si propaga, generando luce in angoli del mondo dove la poesia è spesso l’unico rifugio possibile. Il Premio ha sede a Reggio Calabria, ma è un laboratorio a cielo aperto. Amato lo definisce «un’esperienza interculturale e interlinguistica senza precedenti», capace di attrarre autori da ogni parte del pianeta. Non ci sono sezioni separate per le lingue, non c’è un premio per gli italiani e uno per gli altri. Tutti insieme, in una sola grande gara poetica globale, in cui a contare è solo la voce, non da dove arriva.
E poi c’è il nome: Nosside, la poetessa vissuta nella Locri del III secolo a.C., «simbolo di una femminilità che scrive, resiste e ama». Una figura scelta non per nostalgia antica, ma per visione futura: la poesia come atto di libertà e di identità. Il nome Nosside non è solo evocativo: è guida e radice, è la memoria che ispira il cammino.
Nosside ha un’altra particolarità: accetta anche la poesia in forma video, perché la parola, oggi, si manifesta in mille modi. «Non ci interessa la forma, ma l’autenticità. Può essere una lirica classica o un videoclip poetico, ciò che conta è la verità che esprime». E così, tra le tante lingue, c’è anche quella dei corpi che danzano, dei paesaggi che scorrono, dei volti che tremano, nella sezione dedicata alla video poesia. Una sfida che ha raccolto adesioni da registi, performer, artisti visivi che hanno voluto fondere i linguaggi in un unico gesto poetico.
Il Mediterraneo come destino e crocevia
Per il Professore Amato, il Mediterraneo non è solo una cornice, è una radice. «Questo premio nasce in una terra di incroci, di memorie, di scontri e abbracci. Era naturale che da qui si levasse una voce per unire». E mentre il mondo alza muri, Nosside costruisce ponti di versi, tra le sponde dell’identità e quelle della diversità. La Calabria, in questo senso, non è più solo una periferia geografica, ma una centralità culturale, da cui può partire un nuovo discorso globale.
A rendere ancora più profondo il valore del Premio Nosside è la sua funzione archivistica: ogni edizione lascia tracce scritte e visive, raccolte in antologie e documentari. È un patrimonio vivo che racconta le ansie, le speranze, i dolori e i desideri di popoli lontani tra loro, ma uniti da una tensione comune: essere ascoltati. Una cartografia emozionale che nel tempo ha costruito un atlante poetico planetario.
Amato tiene a sottolinearlo: «Il Nosside è anche un atto politico, nel senso più nobile del termine. Diamo voce a chi non ce l’ha, a chi scrive in una lingua che non ha più patria». Ed è forse proprio qui che si gioca la portata rivoluzionaria del Premio: nella sua capacità di sottrarre la poesia all’élite, per restituirla al popolo delle emozioni comuni.
Il futuro? Una sfida da raccogliere, insieme
La vera scommessa, oggi, è mantenere vivo il progetto. Non è semplice. «Sopravviviamo senza fondi pubblici strutturati. Ma finché ci saranno poeti, il Premio esisterà». E il sogno è che le nuove generazioni, anche quelle più distanti dalla scrittura tradizionale, possano trovare in Nosside un luogo in cui riconoscersi.
Per farlo, Amato immagina un Nosside ancora più aperto: alle scuole, alle reti internazionali, ai nuovi media, alle università, a tutte quelle realtà capaci di fare rete e costruire una cittadinanza poetica del mondo. Un Premio che non premia solo i versi, ma premia la scelta di restare umani.
«Abbiamo bisogno di nuovi umanisti, di giovani che sappiano che esiste una lingua madre, ma anche una lingua sorella. Che sappiano che le parole possono salvare. Possono cambiare le cose. Possono tenerci vivi». E soprattutto, conclude Amato, «abbiamo bisogno di poesia come forma di resistenza, come atto d’amore radicale».
Perché la poesia, alla fine, è questo: un atto di resistenza umana contro l’oblio.