Visionario e ribelle, Tommaso Campanella affascina e conquista studiosi, ricercatori e lettori per il suo ingegno, per essere stato precursore dei tempi. Pensatore controcorrente, costruttore utopista della Città del Sole, domenicano accusato di eresia, racchiude un universo spirituale e filosofico multisfaccettato, aperto su infiniti varchi della conoscenza, spesso non convenzionale, esoterica. Vissuto tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, Campanella attraversa i secoli e continua a suscitare interesse. Come conferma Claudio Stillitano, studioso del frate di Stilo, autore di varie monografie, che ora percorre un sentiero insolito e intrigante con il suo nuovo saggio “Tommaso Campanella, i Rosacroce e l’estasi filosofica”, prefazione del giornalista e studioso Francesco Sorgiovanni (Pellegrini editore). Caratterizzato da alchimia e misticismo, il movimento dei Rosacroce, con radici in Germania, vive tra storia e leggenda, aspirando alla riforma spirituale, morale e scientifica della società. Tutto molto vicino alla tensione ideale di Campanella verso un mondo più giusto, egualitario, solidale. Tanto da aver fatto pensare ad alcuni studiosi che Campanella possa essere stato tra i fondatori dei Rosacroce o averne ispirato la nascita.

Quali sono i punti di contatto più evidenti tra il pensiero di Campanella e quello dei Rosacroce?
«Innanzitutto l’anelito per il rinnovamento morale, spirituale e politico degli Stati europei, la rinascita della cristianità, poi l’amore per la natura. Il filosofo ha in comune con i Rosacroce anche le conoscenze esoteriche che si rifanno all’antico Egitto e al concetto di unità: “Come ogni nocciolo contiene l’intera struttura o il frutto, così l’intero universo è contenuto nel piccolo essere umano”, frase che ritroviamo nei manifesti affissi dai Rosacroce per le vie di Parigi e nella “Theologia” di Campanella. Nella “Fraternitas” dei Rosacroce si parla di un “Liber Mysteriorum”, probabilmente lo stesso che Campanella descrive nel tempio della Città del Sole, senza svelarne i contenuti. E nella “Confessio” poi si parla di “squilli”, con un chiaro riferimento a quello che Campanella scelse come suo pseudonimo per alcune pubblicazioni: Settimontano Squilla. Nelle “Nozze Chimiche”, sempre dei Rosacroce, si legge ancora: «Verrà un’epoca felice in cui saranno tutti uguali, non più poveri né ricchi». Una frase che riporta alla “Città del Sole”, dove è scritto: «Gli arcani svelati vengono sviliti: e quello che è profanato distrugge la grazia». Frasi proprie dell’esoterismo che il frate non manifestò mai pubblicamente, fatta eccezione per l’operetta “La pratica dell’estasi filosofica”, attribuita per alcuni secoli a Giordano Bruno, una pagina unica della letteratura iniziatica e della tradizione esoterica occidentale. L’estasi non è altro che «un uscire fuori di sé», un riscoprire le antiche scienze sacre, attraverso la meditazione orientale, tendente a un’effettiva conoscenza soprannaturale. A questo, che possiamo chiamare esoterismo (ma anche ermetismo) campanelliano, pochi hanno fatto cenno. Il domenicano fece assai uso della scrittura simulata, della reservatio mentis, tecniche utilizzate per non incorrere in ulteriori condanne da parte dell’Inquisizione e del proprio Ordine. È per questo che i ripiegamenti e le riscritture delle sue opere sono innumerevoli».

Come è nato questo libro? Come è nata l’idea di seguire questo filone legato ai Rosacroce?
«L’idea è nata ritrovandomi tra le mani una raccolta di liriche riconducibili a Campanella. Il libro era stato pubblicato, nel 1622, in Germania, con il titolo “Scelta d’alcune poesie filosofiche di Settimontano Squilla cavate da’ suo’ libri detti La Cantica con l’Esposizione”, a cura di Tobia Adami, filoso e letterato. Adami era giunto a Napoli ad agosto del 1612 e si era messo subito in contatto epistolare con il domenicano, il quale gli fece avere molte sue opere, tra cui le poesie, appunto, e la “Philosophia realis”, in cui appare per la prima volta la “Città del Sole” in versione latina. Così si era giunti alla pubblicazione delle poesie. Di questa edizione mi colpì la dedicatoria a «signori ed amici» da parte di Adami indirizzata a Johann Valentin Andreae, Cristoph Besold e Wilhelm Wense. Scoprii che Giovanni Valentino Andrea, teologo luterano, era il capo tedesco dei Rosacroce, Tobia Adami un suo collaboratore, Cristoforo Besoldo e Guglielmo Wense, docenti universitari, anche loro “illuminati” e facenti parte di tale Fratellanza. Così iniziai a interessarmi al legame tra i Rosacroce e Campanella».

Come ha ripercorso queste tracce?
«Ho iniziato a cercare libri quasi introvabili, ho letto la storia dei Rosacroce, i loro manifesti e le opere. Proponevano il ritorno a una saggezza antica, che poteva raggiungersi solo mettendo in pratica una nuova fraternità cristiana, una morale più pura, una vera filosofia, anche tramite la conoscenza delle scienze più segrete tra cui l’alchimia. I Rosacroce intendevano la “vera tradizione” come appartenenza a un «centro primordiale», iniziale, di natura divina, da cui l’uomo proviene e che tenta di reintegrare per mezzo di cerimonie e di riti iniziatici. Trattandosi di una società segreta i loro principi venivano trasmessi solo oralmente, da qui la difficoltà di ricostruirne in maniera precisa la loro storia. Però seguendo queste tracce ho dedotto che Campanella possa essere stato di ispirazione alla “fraternità” dei Rosacroce, non credo sia stato tra i fondatori ma ispiratore sicuramente sì».

In questa sua nuova pubblicazione chiarisce anche l’annosa diatriba sul luogo di nascita di Campanella, Stilo o Stignano?
«Credo di aver chiarito la questione in maniera definitiva. Il 10 settembre 1599, richiesto a rilasciare formale dichiarazione, in merito alla tentata congiura antispagnola, il frate dice: «Io fra Thomase Campanella del ordine di S.to Dominico, dela terra de Stilo de Calabria ultra…». Interrogato a Castel Nuovo, in Napoli, il 23 novembre 1599, asserisce ancora: «Io mi chiamo fra Thomasi Campanella dell’ordine di San Domenico, son d’una terra chiamata Stilo in Calabria Ultra…». Donato Ameduri, facendo propria la tesi di Pietro Nesci del 1967, secondo il quale Stignano è la patria di origine di Tommaso Campanella, scrive che «dire “terra di Stilo” a quel tempo non significava essere nato nella città di Stilo, poteva anche trattarsi di un casale e di questo c’è prova diffusa nella letteratura storica». In verità, i decreti del Tribunale dell’Inquisizione affermano sempre il contrario e riferiscono di un «frater Thomas filius Hieronimi Campanella de Stilo». Sono quelli, ad esempio, del 14 marzo 1595 n. 5, del 16 dicembre 1596 n. 6, del 2 luglio 1598 n. 10, del 4 marzo 1599 n. 8. Il dettato storico non consente stravolgimenti e illazioni perché in tutti i documenti di quell’epoca quando si richiama la terra di Stilo, si dice Stilo, così quando si ricorda la terra di Stignano, si dice Stignano. La stessa dichiarazione di fra Domenico Petrolo, coinvolto con Campanella nella congiura antispagnola del 1599, formulata nel castello di Squillace, diversifica Stignano da Stilo: «Io mi chiamo fra Dominico Petrolo di Stignano, sono di Stignano, sono sacerdote…». Avrebbe dovuto dire di Stilo, dato che Stignano non era ancora comune a sé? Anche alcune opere del filosofo riportano indicazioni certe sulla sua origine. È il caso del “Syntagma”, dove Stilo è detta «patria mia», “Del senso delle cose e della magia” o di altre opere».

Pensa che il pensiero di Campanella sia ancora attuale?
«È attualissimo. Nelle sue 101 opere (24 pubblicate mentre era in vita, 26 stampate postume, 48 perdute, 3 manoscritti e 199 Lettere) scrisse che solo la cultura può liberare il «popolo minuto» e i dotti – legati ancora alle vecchie dottrine, che si ritenevano immutabili – dal giogo del potere, dell’ingiustizia e da una realtà che era costituita da una ferrea divisione in classi e dominata dal censo e dalla ricchezza. Nella “Città del Sole” ha esposto teorie impensabili per quei tempi: la divisione dei poteri, la giustizia sociale, l’emancipazione femminile, il lavoro da eseguire in quattro ore, l’insegnamento affidato non più al nozionismo ma alle immagini, l’assenza delle carceri e il rispetto della dignità umana. Ogni individuo, affermava, non è uomo in quanto socio di una comunità, ma è socio in quanto uomo: la convivenza e la vita sociale hanno la loro ragion d’essere, cioè, nella solidarietà, nella benignità, nella magnanimità e nel sentirsi fratelli. Campanella fu tra i primi pensatori di scienza politica a indicare una nuova definizione di cittadino, che si raccorda pienamente con le istanze di partecipazione attiva all’amministrazione di un comune o di una grande città richieste dall’attuale società civile. Dunque, un pensatore libero, le cui idee sono oggi non solo attuali ma necessarie».