Continua la lotta al Ponte sullo Stretto nonostante i nuovi decreti che il Governo ha posto in atto per frenare il conflitto e accelerare sull’opera. Ma il fronte del No cresce e non demorde, non spaventano neppure le paventate pene repressive. Si sono riuniti, oggi a Villa San Giovanni, per dare il via a una due giorni che apre nuove prospettive di lotta. E hanno trovato conforto anche in chi, conoscendo e vivendo la giurisprudenza, intravede non poi pericoli nell’entrata in vigore del DDL sicurezza e infrastrutture.

«Noi siamo molto preoccupati». Lo ha detto chiaramente il procuratore e segretario nazionale di Magistratura Democratica, Stefano Musolino, riconoscendo come esiste «un problema di gestione del dissenso. Siamo in un momento in cui scelte molto importanti si presentano davanti a noi. Ci sono riforme costituzionali rilevanti, idee diverse di Stato, di governo e di rapporti tra le istituzioni. La tutela del dissenso e la sua gestione credo debba passare da strumenti diversi da quelli penali».

Franco anche nel commentare le possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nel progetto Ponte, Musolino ha ribadito come non debba passare il messaggio che in queste terre non si possa investire per colpa della ‘ndrangheta, tutt’altro. Per il procuratore, tuttavia, queste riforme e in particolare il DDL sicurezza possono essere controproducenti. «I conflitti possono essere deleteri se non si basano sul rispetto reciproco delle posizioni. Possono invece essere molto fruttuosi se vengono gestiti e governati. Ma per farlo, non si può ricorrere allo strumento penale, non si possono inventare nuove norme per radicalizzare il dissenso e, addirittura, criminalizzarlo».

Una posizione che vede i No Ponte delle due sponde, calabrese e siciliana, uniti nell’intento di non lasciarsi intimorire dalle posizioni assunte dal Governo e, per questo, continuare la lotta.

«Chiaramente, il Governo si sta muovendo velocemente per ostacolare ciò, ma tutti i governi, dal 2008, da quando è iniziata la campagna contro il ponte, ci hanno ostacolato. Hanno tentato di costruire un ponte, forse per recuperare fondi per i loro amici, che fino ad ora hanno guadagnato settecento milioni di euro senza fare nulla». Lo ha detto senza troppi giri di parole l’esponente dello Spazio No Ponte di Messina, Sergio Soraci. «Ora, con il DDL Sicurezza, il problema diventa ancora più grosso, e dobbiamo impegnarci ancora di più contro questo governo. Non ci fanno paura, non ci fermeranno, questo è sicuro. Non c’è nessun governo, nessuna legge, nessuna norma che ci impedirà di ostacolare la conclusione del ponte».

E anche legalmente il tema è stato affrontato grazie al contributo di Arturo Salerni, avvocato nel processo Open Arms contro Salvini.

«Le nuove misure introdotte sono più controlli, ma queste nuove norme approvate al Senato e alla Camera si muovono su una vasta gamma di comportamenti definiti come illeciti penali o già classificati come reati, ma con aggravanti sulle sanzioni. Si alzano le pene, si introducono nuove aggravanti, e queste norme sono mirate a due bersagli: uno è la marginalità sociale, dove lo Stato decide di affrontare fenomeni di emarginazione e difficoltà economiche con lo strumento aggressivo del diritto penale; l’altro è il conflitto sociale e la disobbedienza all’interno del paese.

C’è una preoccupazione aggressiva da parte del Governo, perché, anche se si tratta di una proposta parlamentare, unisce tutte le forze, anche quelle che si definiscono garantiste, come Forza Italia. Tuttavia, questo garantismo è per pochi, per le classi privilegiate, non per coloro che non hanno una casa, che sono nelle carceri, o che protestano contro le ingiustizie climatiche o nelle loro condizioni lavorative, come nel settore della logistica, caratterizzato da precarietà e sfruttamento».

Una battaglia che si sposta nettamente sul piano politico, secondo l’avvocato, che non sa «quanto le forze di opposizione abbiano esercitato un’efficace resistenza parlamentare durante la prima lettura alla Camera. Si tratta di norme puntuali, ma nel loro insieme determinano una degradazione del tessuto democratico e della funzione del diritto penale».