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«Un Paese Ue può designare Paesi d’origine sicuri mediante atto legislativo, a patto che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo».
Lo ha stabilito la Corte di giustizia Ue nei giorni scorsi, di fatto, riaccendendo lo scontro tra politica e magistratura in merito a chi debba decidere quale paese di provenienza dei migranti sia sicuro. Una qualificazione in base alla quale ritenere sufficiente una procedura sommaria piuttosto che quella ordinaria per valutare i diritti (asilo politico, protezione internazionale, etc.) da riconoscere allo stesso migrante che provenga da quel paese.
La sentenza della Corte di Giustizia Europea
Le posizioni opposte, tali sono rimaste dal momento che la Corte di Giustizia Europea ha ritenuto legittima la valutazione di un giudice circa l’indicazione di un Paese come sicuro mediante un atto normativo. «Uno Stato membro non può includere nell’elenco dei Paesi di origine sicuri un Paese che non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione. Condizione questa valida fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento Ue, che consente di effettuare designazioni con eccezioni per alcune categorie chiaramente identificabili di persone». Regolamento che è atteso per il giugno del prossimo anno. Anche sulla portata di questa sentenza rispetto alle nuove norme europee sul tema, le posizioni sono profondamente diverse.
Le nuove norme comunitarie dopo la sentenza
Nella recente convention di Forza Italia a Reggio Calabria, il vicepresidente del consiglio dei Ministri e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha sottolineato che «in un momento in cui si combatte il traffico internazionale di essere umani, occorrono le certezze. Queste sono date dal lavoro dei ministeri, dei tanti funzionari pubblici, delle ambasciate e dei consolati, con competenza e conoscenza specifiche che i giudici, chiamati ad applicare la legge e non ad intervenire nel processo legislativo, non hanno. Dunque alla luce di questa sentenza ci auguriamo che la Commissione Europea vorrà accelerare i tempi di entrata in vigore delle nuove norme. Queste certamente annulleranno l’effetto di questa pronuncia», ha sottolineato Antonio Tajani.
Non è dello stesso avviso il segretario nazionale di Magistratura Democratica, anche procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Stefano Musolino. «Le nuove norme – dichiara – dovranno necessariamente fare i conti con questa sentenza che rimette al centro quanto false narrazioni cercano di offuscare ossia i diritti dei migranti. È questo ciò di cui ci si dovrebbe occupare nel trattare questo tema. La questione di fondo è il diritto del migrante o meno a potere avviare una procedura ordinaria o semplificata, senza che la scelta della seconda, in caso di valutazione eventualmente da approfondire o da aggiornare di paese sicuro, si traduca in una riduzione dei diritti di quello stesso migrante. Questo è il cuore della questione».
I diritti dei migranti
«Trattandosi di diritti umani fondamentali, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che, se anche il governo per sua scelta non sindacabile si determina in un certo senso nella qualificazione di paesi sicuri, il giudice può intervenire per verificare che quella qualificazione non è corretta.
La qualificazione di un paese di provenienza sicuro – spiega il segretario nazionale di Md, Stefano Musolino – implica che quella persona migrante, ritenuta in arrivo da un paese con le giuste garanzie, avrà diritto ad accedere una procedura semplificata, accelerata e di frontiera, da non espletarsi nemmeno sul nostro territorio. La sua domanda sarà valutata, dunque, più velocemente con una restrizione dei termini di difesa di eventuali sue ragioni non accuratamente analizzate in quanto proveniente da paese dichiarato sicuro dal Governo.
Le fonti di riferimento dei magistrati che si occupano di questa materia sono i documenti e i report dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati, di ong e osservatori autorevoli che operano sul campo e che si occupano di diritti umani. Ma sono anche gli stessi documenti ministeriali. In essi spesso ci sono degli aspetti che restano da valorizzare o anche solo da aggiornare, alla luce di una tutela del caso specifico, che il giudice rileva.
Faccio un esempio: il Bangladesh o l’Egitto sono stati definiti paesi non sicuri dai giudici sulla base di informazioni del ministero degli Esteri. Inizialmente – spiega ancora il segretario nazionale di Md, Stefano Musolino – si riteneva che paesi sicuri dovessero essere soltanto quelli in cui vi erano il rispetto di alcuni diritti. Non si prendevano in considerazione le minoranze sottoposte a vessazioni o discriminazioni. Circostanze per le quali se i migranti fossero appartenuti a quelle minoranze sarebbe stato corretto che quel paese per loro non fosse da ritenersi sicuro, a meno di violare i loro diritti».
Le fonti
Dunque le fonti e i documenti dei magistrati possono anche essere gli stessi di riferimento dei ministeri, dagli stessi elaborati. Ciò salvaguardando così le competenze specifiche dei funzionari per le quali si spende il ministro Tajani. Lo sguardo terzo del giudice, tuttavia, può (e, ove necessario, deve) costituire ancora una volta, trovandoci in uno Stato di Diritto, il momento in cui una situazione trova un suo equilibrio definitivo. Un passaggio non sempre necessario ma la cui possibilità deve essere sempre garantita.
L’intervento del giudice e le valutazioni caso per caso
Uno sguardo terzo che per il vicepresidente del Consiglio Tajani è solo portatore di confusione. Le sentenze caso per caso genererebbero incertezze piuttosto che garantire lo Stato di Diritto, come invece ritiene il segretario di Magistratura Democratica, Musolino.
«Non può un magistrato decidere se un paese sia sicuro oppure no. Non ha gli strumenti per farlo. La magistratura – spiega il vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Antonio Tajani – non può con una sentenza sostituirsi al ministero degli Esteri, al ministero dell’Interno e alla presidenza del Consiglio. La sentenza di una persona non può sostituire il lavoro di decine di altre persone. Il magistrato non ha la conoscenza professionale necessaria.
La scelta di qualificare un paese sicuro deve essere compiuta dai Ministeri, dal Governo, sulla base di un’analisi attenta e approfondita che fotografi una situazione reale. Se lo facciamo decidere a un giudice, oggi un paese è sicuro per Caio e domani non lo sarà più per Tizio o per Sempronio. Ripeto, noi abbiamo bisogno di certezze per poterci occupare di contrastare i trafficanti di esseri umani».
I Paesi sicuri
«Una pronuncia che qualifichi per quel migrante un paese non sicuro, non vuol dire che tale resti anche per tutti gli altri. Significa – spiega, dal canto suo, il segretario nazionale di Magistratura Democratica, Stefano Musolino – che in quella specifica procedura il migrante sarà sottoposto alla procedura ordinaria invece che alla procedura semplificata. Ciò neppure comporta che quel migrante sarà automaticamente accolto. Significa che la sua situazione sarà valutata considerando anche tutta un’altra serie di situazioni che garantiranno in modo compiuto il rispetto dei suoi diritti.
Una valutazione del caso specifico alla quale il giudice in uno stato di diritto è chiamato. Invece è diventato un caso assolutamente sconsiderato che rivela una caratteristica di questa maggioranza di Governo. Essa non accetta, come sta dimostrando anche sul caso Salvini – Open Arms e sul caso Al Masri, che vi sia un altro potere a bilanciare il potere legislativo e il potere esecutivo. Non lo accetta ma lo prevede lo Stato di Diritto, lo dispone la nostra Costituzione».
Poteri e contropoteri
E, infatti, torna il tema sempre rovente del conflitto tra poteri. Tajani bolla l’intervento del giudice in questa materia come invasivo di sfere di competenze del potere legislativo, sugellato dall’investitura del popolo e dunque sovrano in una democrazia, e dei ministeri. E qui tuttavia operano funzionari e dipendenti, competenti, ma pur sempre vincitori di concorso come i magistrati e dunque senza alcuna investitura popolare.
«La magistratura non può occuparsi di tutto. In un paese democratico, come nella visione di Montesquieu, i poteri non devono travalicare i loro ambiti di separazione. Se noi cedessimo il passo a una visione giustizialista con uno strapotere di chi neppure sia stato eletto dal popolo, ma abbia solo vinto un concorso, tradiremmo la sovranità del popolo che ha conferito il potere a coloro che ha eletto». Lo ha ribadito Antonio Tajani.
Tuona anche palazzo Chigi nella nota diramata dopo la sentenza. «La Corte di Giustizia Ue decide di consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari.
Così, ad esempio, per l’individuazione dei cosiddetti Paesi sicuri fa prevalere la decisione del giudice nazionale, fondata perfino su fonti private, rispetto agli esiti delle complesse istruttorie condotte dai ministeri interessati e valutate dal Parlamento sovrano.
È un passaggio che dovrebbe preoccupare tutti, incluse le forze politiche che oggi esultano per la sentenza. Esso riduce ulteriormente i già ristretti margini di autonomia dei Governi e dei Parlamenti nell’indirizzo normativo e amministrativo del fenomeno migratorio. La decisione della Corte indebolisce le politiche di contrasto all’immigrazione illegale di massa e di difesa dei confini nazionali».
L’autonomia dei Governi e l’autonomia della Magistratura
Si rende necessaria anche secondo il segretario nazionale di Magistratura Democratica, Stefano Musolino, una riflessione che dovrebbe profondamente interrogare e preoccupare la cittadinanza ma per una “riduzione” di tipo diverso.
«Una riduzione che oggi riguarda i migranti, domani potrebbe allargarsi. I nazisti iniziarono con gli zingari. I migranti sono oggi una categoria di soggetti rispetto ai quali si reclama la paura. Incarnano il problema di un flusso epocale che nessuno è in grado di governare e di gestire. Viviamo in un periodo complesso, dove tenere insieme i diritti di tutti non è facile. Non ci sono soluzioni facili. Io direi ai cittadini di preoccuparsi di chi sbandiera soluzioni facili. Non sta parlando con verità.
Oggi, prendendo spunto dai migranti, in realtà si vuole costruire una narrazione per la quale il potere esecutivo, la maggioranza di governo, la maggioranza parlamentare possono ciò che vogliono, anche in tema di diritti fondamentali. Ma lo Stato di diritto non prevede questo. La nostra costituzione – conclude il segretario nazionale di Magistratura Democratica, Stefano Musolino – non dice questo. Anzi contempla una magistratura sulle cui indipendenza e autonomia si misura la Democrazia e l’attuazione di quello Stato di diritto nella vita delle persone».