Un messaggio intimo, scritto con parole semplici ma dense di significato, che si è presto trasformato in una carezza collettiva, capace di parlare a chiunque conosca la nostalgia di un’assenza. «Mi capita spesso di sentire la suoneria che avevi tu sul telefonino», scrive Falcomatà. «Nel bel mezzo di un convegno, durante una cerimonia, persino a messa o a teatro. E mi piace pensare che tu sia lì, da qualche parte». È un flusso di ricordi e sensazioni che attraversano il tempo, in cui convivono dolore e gratitudine, fatica e luce.

Il sindaco racconta l’anno trascorso, «la fatica fatta per mantenere l’equilibrio» e quel sorriso che, nonostante tutto, torna a illuminare il volto: «Lo riconosci, è il tuo. È il vostro». Poi il dolore, definito con consapevolezza come «la prova che l’amore è esistito, che qualcosa di unico e straordinario è capitato nelle nostre vite». Una riflessione che non cerca consolazione, ma trova una forma di pace nell’accettazione.

«Forse c’è un pezzo che deve mancare. E forse è anche giusto così», scrive ancora. Un vuoto che resta tale, ma che non impedisce alla vita di continuare, giorno dopo giorno, respiro dopo respiro, sotto lo stesso cielo. Chiude con un dettaglio familiare, quasi un piccolo dono alla memoria: «Abbiamo finito di riordinare le foto. Avremo finalmente degli album bellissimi». Un ricordo personale che si fa universale. Perché, come scrive Falcomatà, «oggi, in questo giorno di silenzio, sento, forte, un senso di te».