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Reggio, la denuncia di Francesca: «Attesa di 10 mesi per Tac a un malato di tumore. Ti fanno desiderare la morte»

La fuga a Milano per l’operazione al seno e poi le attese infinite anche per la radioterapia. Un calvario che una figlia distrutta ha deciso di raccontare perché «la salute è un diritto non dobbiamo elemosinare nulla»

Reggio, la denuncia di Francesca: «Attesa di 10 mesi per Tac a un malato di tumore. Ti fanno desiderare la morte»

Francesca è una figlia che troppo presto ha dovuto fare i conti con la malattia. Ormai da due anni, prima con il padre e successivamente con la mamma, combatte tra i corridoi del reparto di oncologia. È provata dalla sofferenza ma lo è ancor di più perché estenuata dalle continue lotte. 

«La salute è un diritto non devo elemosinare nulla». È arrabbiata Francesca perché «a maggio 2022 a mia madre è stato diagnosticato un cancro al seno piuttosto invasivo, in quanto è un tipo di tumore che cresce molto velocemente». 

Il calvario dopo la diagnosi 

E la terribile notizia è stato solo l’inizio del percorso ad ostacoli denunciato da Francesca. «A parte l’impossibilità di poter fare in ospedale esami diagnostici in breve tempo (e in questi casi si sa, il tempo è fondamentale, davvero questione di vita o di morte!).

Divenuta, ormai, in Calabria una cosa di routine in quanto i cittadini non possono esercitare liberamente i loro diritti e sono costretti ad ingrassare le tasche dei soggetti privati che effettuano tali esami a prezzi esosi, abbiamo dovuto subire l’umiliazione di dover affrontare un intervento tanto importante quale l’asportazione del seno, fuori regione».

Le liste d’attesa e la carenza di personale

E che ci siano problemi cronici che impediscono il corretto funzionamento del sistema di assistenza al paziente oncologico è assodato. «Manca personale tanto da dilungare la manutenzione del catetere endovenoso necessario per la chemioterapia. A Milano ci hanno detto che va fatto ogni settimana. Mentre mia madre ha aspettato anche 3 settimane per la manutenzione. Anche la strumentazione non aiuta. Infatti, dopo la diagnosi era necessaria una tac total body e la prima disponibilità ci è stata data a distanza di dieci mesi. Andare da un privato costava 350 euro.

A Milano una settimana e una trentina di euro di ticket e abbiamo fatto. Ma non è finita. Anche dopo sono continuate le attese perché per poter fare la radioterapia sono passati due mesi e dovrà passarne ancora uno per iniziare. Questo accade perché esiste un solo macchinario. Eppure lo hanno detto tutti i medici che il tempo è fondamentale perchè questo tumore cammina veloce. Abbiamo già perso troppo tempo, infatti il male era già andato in metastasi. Dal punto di vista psicologico è devastante perchè nessuno ti segue o ti da risposte. Per non parlare delle file interminabili la mattina al Morelli per le analisi o per la terapia».

I disservizi e la politica silente

Francesca ha raccontato una delle tante storie di migrazione sanitaria. Ha portato esempi di cose  che, fuori dalle nostre latitudini, funzionano. Manca l’assistenza ai malati oncologici. «Io sono sola con due genitori malati di tumore. Se devo lavorare nessuno può accompagnarli. Ritengo infatti, da cittadina e da essere umano che non potersi curare nella propria città o regione sia una lesione gravissima dei diritti fondamentali della persona. I nostri politici e molti medici non si rendono conto del calvario che deve affrontare una persona malata di cancro, e con lei anche chi le sta vicino.

La malattia oltre a debilitare il fisico ti distrugge psicologicamente, a ciò si aggiunge l’esasperazione di dover affrontare burocrazia e soprusi che ti portano quasi a desiderare di morire piuttosto che dover affrontare montagne di difficoltà». E rilancia l’idea del taxi sociale che potrebbe sollevare almeno in parte i familiari che con la malattia devono combattere giornalmente.  

Le note positive 

Nonostante tutto, non perde lucidità Francesca. Riconosce nel personale medico una competenza che, supportata da un sistema funzionale darebbe un’ottima assistenza. «In tutto questo vorrei segnalare la profonda umanità e professionalità della dottoressa Rita Agostino del reparto oncologia dell’ospedale Morelli, l’unica a comportarsi come un vero medico, nonostante i forti disagi e mancanze di cui soffre il reparto. Carenza di personale e di strumentazione dei quali ringraziamo la politica nazionale con i suoi ripetuti tagli, e la politica locale con la sua sfrontata strafottenza». 

Le conseguenze 

Adesso che la prima data per la radio terapia è fissata Francesca teme il peggio. «Dopo essere stati vittime di tutto questo, e dopo un intervento tanto invasivo, ora stiamo combattendo con l’impossibilità di poter effettuare la radioterapia presso l’ospedale Riuniti. I sacrifici fatti in 12 mesi tra chemioterapia e intervento rischiano di essere vanificati in quanto l’ospedale dispone di un solo macchinario per la radioterapia a fronte di un’utenza che arriva da tutta la provincia.

Troppo tempo, il cancro non aspetta, la possibilità di recidiva è altissima, ma cosa importa alla politica e al sistema sanitario? Per loro siamo solo numeri. Siamo numeri importanti nel momento di andare alle urne, ma siamo anche numeri insignificanti quando si tratta di dover esercitare un nostro diritto. Sono davvero rammaricata da questa situazione e sinceramente non me la sento di biasimare chi lascia la Calabria per cercare fortuna altrove. E così si muore lentamente nell’indifferenza generale, in una città a cui davvero non mancherebbe nulla se solo ci impegnassimo tutti un po’ di più». 

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