giovedì,Aprile 25 2024

A Palizzi la notte di catoi e palmenti per rievocare la storia della lavorazione del vino – VIDEO

Una degustazione animata dalle cantine del luogo con la musica del gruppo cosentino Takabum Street Band e la tarantella. Il sindaco Nocera: «Il borgo rivive e il prossimo anno speriamo di riaprire il castello»

A Palizzi la notte di catoi e palmenti per rievocare la storia della lavorazione del vino – VIDEO

Si è riacceso il borgo antico di Palizzi Superiore in occasione del consueto appuntamento con l’apertura serale dei catoi e dei palmenti che rievocano la lavorazione dell’uva che diventa mosto e poi vino, tramandando così la ricca tradizione enologica del territorio. La cittadina è, infatti, nota per il suo vino rosso Igt (Indicazione geografica protetta), con la sua Marina inebriata di gelsomini e adagiata sul mar Ionio, nel comprensorio metropolitano di Reggio Calabria. Musica dal vivo e una degustazione curata dalle cantine del luogo hanno animato la speciale notte nel borgo, che d’estate vive una sua primavera.

«Il borgo rivive nel segno delle migliori tradizioni»

«Valorizzare questo borgo attraverso la bellezza che ancora custodisce e le sue migliori tradizioni, come quella del vino rosso, è un nostro preciso obiettivo. Per questo siamo particolarmente contenti che in questa occasione, il borgo di Palizzi Superiore riviva. Come amministrazione siamo fortemente impegnati in questa direzione e speriamo che il prossimo anno potrà essere visitabile anche il Castello medievale, i cui lavori sono finalmente stati avviati», ha dichiarato Umberto Felice Nocera, sindaco di Palizzi, di cui Palizzi Superiore è solo una delle quattro frazioni con Palizzi Marina (la più popolosa con quasi duemila abitanti) con i suoi Calanchi e il lungomare più corto d’Italia, Spropoli e Pietrapennata, con il suo paesaggio alpestre a quasi settecento metri di altezza sul livello del mare, con la sua silenziosa e incantata vallata dell’Alica.

La frazione di Palizzi Superiore è dominata da un antico Castello di origini medievali, forse risalente al XIII secolo o forse edificato dai Ruffo nel XIV secolo, posto a 272 metri sul livello del mare. Qui la tradizionale apertura di palmenti e catoi, ravvivata dalla musica coinvolgente del gruppo cosentino Takabum Street Band e dall’immancabile e travolgente tarantella, ha costituito un’occasione per degustare il vino e anche per esplorare un mondo antico che ancora palpita dentro i palmenti ricavati nelle rocce, dove l’uva diventa mosto, e nei catoi, dove il mosto lasciato a decantare diventa vino. Un viaggio nella tradizione del vino rosso e fortemente identitario di questo territorio nel cuore del parco nazionale dell’Aspromonte che si arricchisce del fascino altrettanto antico dei suoi vicoli caratteristici. Un luogo un tempo abitato da tremila persone, nel secolo scorso spopolatosi per l’emigrazione in Francia e poi in Germania. Oggi molte case sono disabitate e abbandonate. Nel borgo risiedono solo 180 persone che in estate possono arrivare a circa 500.

Il buio e poi la bellezza

Una strada buia e senza protezioni, che richiederebbe interventi degni nella bellezza del borgo alla quale conduce, porta dalla Marina alla frazione di Palizzi Superiore. Ciò nonostante è percorsa da tanti calabresi rimasti in Calabria, calabresi emigrati e turisti che a salire al borgo anche di sera non rinunciano. Lo raggiungono per passeggiare tra quegli stessi vicoli percorsi a piedi dallo scrittore viaggiatore inglese Edward Lear nell’Ottocento, per immergersi in atmosfere pregne di suggestioni e spesso anche di ricordi, per sorseggiare del buon vino rosso, assaporare un panino con la salsiccia e ascoltare musica dal vivo, per ammirare la Chiesa con le statue di Sant’Anna e della Madonna del Carmelo e il suo campanile e salire, passando dalla casa natia del filosofo anarchico Bruno Misefari, fino in cima anche solo per scorgere al di là delle mura l’antico castello, ancora chiuso perché in fase di restauro.

Al via i lavori di recupero del Castello

Dopo quasi dieci anni di stallo, il finanziamento di due milioni di euro che consentirà all’antico maniero di essere completamente restaurato, sarà concretamente messo a frutto. I lavori sono stati consegnati lo scorso giugno e, da cronoprogramma, dovranno essere ultimati entro 365 giorni, in tempo per la prossima stagione estiva, momento di rivitalizzazione del borgo.

Il richiamo delle radici

Un borgo che resta nel cuore. Chi vi nasce, anche se costretto a abbandonarlo, non dimentica, come ci racconta Leone Musitano, che dal 1985 insegna Novara e che potrebbe scegliere di tornare a qui una volta in pensione. Intanto tiene quel borgo con sé, lo ha sempre fatto, per questo ogni anno torna e se ne lascia ispirare come testimonia un disegno realizzato con i pastelli che custodisce dentro la sua bottega mentre espone la litografia del borgo, delle sue case e dei suoi vicoli, insieme alle tegole dipinte e sempre ispirate al borgo.

«Mi emoziona sempre disegnarlo, come mi emoziona ogni volta tornare qui, dove sono nato e cresciuto, dove ritrovo persone che non dimenticherò mai e tanti bellissimi luoghi, che meriterebbero tutti di essere immortalati in disegni e opere pittoriche», ha raccontato Leone Musitano.

Dai vigneti ai palmenti e ai catoi: ecco come nasce il vino

Una bellezza, bisognosa di cure, che è anche emozione, nostalgia, arte mista al rosso di un vino che qui si distingue e la cui tradizione resiste. Carmelo Zirilli che da giovane trasportava con cavalli e asini l’uva nei palmenti perché fosse lavorata, oggi è presidente del Consiglio comunale di Palizzi. È stato lui la nostra guida, con il sindaco Umberto Felice Nocera e il vicesindaco Stefano D’Aguì, durante la visita del suo catoio e del palmento anticamente appartenuto alla famiglia Parasporo e oggi di proprietà di Domenico Maressa.

«Nel palmento avveniva lavorazione dell’uva per tanti proprietari di vigne, poiché non tutti possedevano il palmento. Una volta trasportata qui dalle vigne – ha raccontato – l’uva veniva adagiata nella “gebbia” dove veniva pestata con piedi con la cosiddetta “marciata”. Il mosto, lasciato al macero con gli acini d’uva per ventiquattro ore, poi scendeva nella parte bassa detta “pilaci” mentre gli acini venivano posti nel torchio, governato da una leva in legno di quercia con una pietra a fare da contrappeso. Quando la pietra arrivava a toccare terra, l’attività del torchio che premeva sugli acini era terminata e il mosto poteva essere messo negli otri, fatti di pelle di capra, a loro volta trasportati da cavalli e asini nei catoi. Qui, nelle botti aperte, veniva lasciato a fermentare», ha concluso Carmelo Zirilli, presidente del consiglio comunale di Palizzi che nel raccontare ha rivissuto la sua giovinezza.

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