È una storia che lacera e commuove, ma che allo stesso tempo illumina. “Non chiediamo a Dio perché ce l’ha tolto, lo ringraziamo per avercelo dato” è molto più di un libro: è un atto d’amore, di memoria e di denuncia. Lo ha scritto Giacomo Francesco Saccomanno, avvocato e nonno del piccolo Giacomo, morto a soli 24 mesi per un caso di malasanità.

Attraverso le pagine del volume, edito da Romano Edizioni, Saccomanno ricostruisce la breve vita del nipotino, immaginando di darle voce. Ne nasce un racconto toccante, dove la tenerezza dell’infanzia si intreccia alla rabbia per un destino ingiusto.

Ogni capitolo è una carezza e un grido: il desiderio di non dimenticare e di chiedere giustizia.

Dal dolore, però, è nata anche la speranza: la famiglia ha dato vita alla Fondazione “La Casa di Giacomo”, impegnata nell’assistenza ai bambini cardiopatici e nel sostegno alle famiglie colpite da simili tragedie. Abbiamo incontrato Giacomo Francesco Saccomanno per parlare del suo libro, del coraggio di trasformare il lutto in impegno, e di come l’amore possa sopravvivere alla perdita più grande.

Come è nata l’idea di trasformare il dolore per la perdita di suo nipote in un libro?

«Sono stati giorni terribili. Colmi di dolore che mi spezzavano in due e con tanti dubbi sugli accadimenti. Ci domandavamo se avevamo fatto tutto il possibile, se dovevamo essere più duri, più rigidi con i medici del Bambino Gesù, se dovevamo ascoltare altri Ospedali. Momenti pesantissimi che non auguro a nessuno di passare. Ci siamo, però, trovati in una famiglia unita, forte e che ha affrontato il momento con grande partecipazione e coraggio. E poi tantissime persone che ci hanno raggiunto a Roma, specialmente i giovani amici dei miei figli che hanno riempito la nostra casa e la stessa Chiesa al funerale che si è tenuto nella capitale. Poi nella mia città una grande Chiesa, come il Duomo, stracolma, tanto che le persone non son potute nemmeno entrare. Un fiume di affetto!».

Un anno, comunque, molto pesante, doloroso e difficile.

«Specialmente, quando leggendo la cartella clinica abbiamo appreso i fatti e che Giacomo era già morto la mattina del primo gennaio 2019, quando è stato operato inutilmente. E i medici ci hanno trascinati, con una speranza poco nobile e inesistente, sino al 3 gennaio 2019. Poi assieme ai miei familiari, che ringrazio tutti da mia moglie Maria Teresa, ai miei figli Jacomo con Laura, Andrea con Camilla, e Angiola con Nico, abbiamo deciso di trasformare il dolore in amore. Abbiamo costituito una Fondazione “La casa di Giacomo” che sostiene le persone bisognose. Alla presentazione, nella data del compleanno di Giacomo, il 14 settembre 2019, abbiamo organizzato un evento importante con centinaia di persone. Questo ci ha dato la forza di trasformare, con grande coraggio, il negativo in positivo».

Cosa ha significato per lei scrivere in prima persona con la voce del piccolo Giacomo?

«Era il primo Capodanno senza Giacomo. Non riuscivo a dormire. Mi sono alzato ed ho pensato di lasciare viva la sua memoria con un libro dettato da Lui. Ho cominciato a scrivere alle 2 del mattino e ho finito alle 11 di sera, senza mai fermarmi. Non ero io a scrivere, era Lui a dettarmi tutto! Era Lui che mi parlava e mi faceva comporre le frasi. Tanto dolore, tante lacrime, ma è stata come una liberazione!».

Qual è stato il momento più difficile da raccontare?

«Tutto è stato molto difficile. I ricordi che partono dalla nascita, dai primi giorni di vita, alla crescita, agli abbracci, alle prime parole, alla sua allegria, alla ironia strana per un bambino di 2 anni. Poi la grande gioia di sentirsi chiamare nonno. La sua prima parola. E le lunghe passeggiate, mano nella mano, nella pineta dinnanzi alla nostra casa a mare. Osservava tutto, voleva sapere ogni cosa, un curiosone. Momenti bellissimi distrutti per non aver voluto i chirurghi pediatrici rinunciare al cenone del 31 dicembre 2018».

Qual è stata la reazione?

«Tanta rabbia, momenti di sconforto, il desiderio di punire direttamente. Poi, il ricordo di Giacomo, i suoi sorrisi impressionanti, mi hanno spinto, da una parte, a chiedere verità e giustizia e, dall’altra, a sostenere le persone in difficoltà. Certo che non è accettabile quello che è successo, ma alcuni segni della sua presenza mi hanno condotto verso un percorso di accettazione e di reazione positiva».

Il libro denuncia gravi responsabilità sanitarie: quali risposte avete ricevuto fino ad oggi?

«È stata la seconda pugnalata alle spalle e nel cuore. Ho sempre creduto nella giustizia e ho sempre pensato che questa potesse risolvere tante cose. Negli ultimi anni, oltre alla vicenda di Giacomo che mi ha segnato profondamente, vi sono stati altri accadimenti, che mi hanno mostrato un sistema deteriorato, a volte immorale, e che mi ha messo nelle condizioni di non credere che ci possa essere una vera Giustizia terrena. Questo un sistema corrotto che protegge i forti e distrugge i deboli e le povere persone fragili. La vicenda di Giacomo, però, mi ha dato ulteriore forza: quella di combattere senza se e senza ma, anche contro chi non svolge il proprio dovere con passione e trasparenza perché è piegato al vile potere o al denaro».

La sua reazione oggi?

«Grazie a Giacomo, non guardo in faccia più nessuno e combatto a viso aperto contro tutti. Nel processo di Giacomo (di recente i medici sono stati rinviati a giudizio, ndr) ci sono stati articoli scientifici letti al contrario, superficialità, negligenze, perizie false (tutte ovviamente presunte allo stato del procedimento penale, ndr). Tanti dinieghi ad assumere la nostra difesa da molti specialisti interpellati. Mio figlio e la moglie sono andati anche all’estero per trovare un CTP, che, pur dandoci ragione, non ha accertato l’incarico in quanto, altrimenti, non sarebbe mai più rientrato in Italia. Tanti gravissimi episodi, alcuni registrati, che ci hanno sconvolto, ma ci hanno dato maggiore forza di andare avanti. Anche perché in quei tristi giorni tanti bambini sono morti al Bambino Gesù e questa immagine non si è mai cancellata. Povere famiglie che, certamente, non hanno potuto chiedere verità e giustizia».

“La Casa di Giacomo” è un progetto concreto di amore e memoria: quali obiettivi si pone?

«È stato un momento illuminante che speriamo di poter coltivare nel tempo sia per rendere sempre più viva la memoria di Giacomo, che per aiutare chi ne avesse bisogno. Non posso non ricordare che alla presentazione, nel giorno del compleanno di Giacomo, è stata composta dall’altro nonno, Aldo Borgese, una canzone a Lui dedicata con alcune parole pronunciate da Lui a Roma quando si era in attesa di sapere della data dell’intervento. Che, poi, non è mai avvenuto.

Ora, speriamo che dopo questa lunga battaglia giudiziaria, che è appena iniziata, ci possa essere il tempo di poter proseguire in quel percorso di solidarietà, amore e sostegno delle persone bisognose. Devo, però, ringraziare tutti i CTP che si sono prodigati in questo difficile percorso: Giancarlo Crupi, cardiochirurgo pediatrico, Carlo Gallo, specialista in Anatomia Patologica, Giuseppe Sturniolo, già professore Associato di Malattie Infettive, Alessio Asmundo, Ordinario di Medicina Legale, e infine la dottoressa Daniela Cento, Sostituto Procuratore della Repubblica di Roma, che ha letto tutte le carte con diligenza ed ha verificato anche la falsità della perizia redatta, che ha portato alla archiviazione, del pseudo medici Alessandro Giamberti, Martina Focardi e Nicola Principi, che ora dovranno rispondere delle loro condotte».

In che modo questa esperienza ha cambiato la sua visione della vita?

«Io sono stato sempre un combattivo, non sopportando le ingiustizie. Ho difeso, anche gratuitamente, dinnanzi a situazione di aggressione a persone fragili. Dopo la morte di Giacomo la forza di combattere e di difendere chi ne avesse bisogno è cresciuta a dismisura ed ora non ho timore di nessuno: né dei poteri forti, né della ‘ndrangheta, né dei pochi magistrati che non svolgono il proprio dovere per accertare la verità. Sono diventato un elefante nella cristalleria».

Conseguenze del dolore?

«Sì, da una parte il dolore ha accresciuto la mia fame nel combattere le ingiustizie e il non aver nessuna paura ad affrontare tutti, sempre nel rispetto, naturalmente, della legge».

Dall’altra parte?

«Dall’altra parte mi ha fatto diventare più buono, mi ha aperto al dialogo, mi ha permesso di guardare il mondo e gli altri con un pensiero positivo e con maggiore tolleranza, con il pensiero primario che la discussione e il confronto sereno possono portare al chiarimento e alla migliore convivenza. Tutti possiamo sbagliare e, quindi, è necessario perdonare. Da qui nasce il vero amore».

Cosa vuole dire a quei genitori che vivono drammi simili, tra dolore e richiesta di giustizia?

«È difficile pensare alle parole che si possono dire. Certamente, non odiare e trasformare la rabbia e il dolore in azioni di amore. E poi non arretrare mai. Avere la forza di combattere e di andare avanti senza paura. La verità, se adeguatamente sostenuta, anche tra mille difficoltà, viene sempre fuori. Amare gli altri, con la dovuta selezione, è un momento di grande conforto dentro di noi. E poi interessarsi delle persone fragili come i bambini disabili. Questi sono splendidi ed hanno una forza interiore inspiegabile, che, però, aiuta a comprendere i sentimenti ed il mondo».

Ha fatto altro dopo la tragedia?

«Dopo la morte di Giacomo ho creato, assieme a tanti amici, che ringrazio tutti, un Centro per ragazzi “diversamente speciali”. Tanti ragazzi che si sono incontrati, dapprima con paura, e, poi, nel tempo con grande amore che si scambiavano tra loro, ma, maggiormente, lo facevano vivere anche a noi. Ecco, questa è una esperienza bellissima e talmente emozionante che spinge a dimenticare il marcio e le cattiverie».

Se dovesse riassumere in una frase il messaggio del libro, quale sarebbe?

«Non arrendersi mai, essere uomini liberi, andare avanti con i propri principi morali, non piegarsi mai, vivere quello che la vita ti consente, rispettare le persone, creare affettuosità, essere solidali e amare tanto».