La notizia di un’altra donna uccisa. Ancora una volta. Ancora oggi. Ancora Pamela, che si aggiunge a una lista senza fine, una lista che non dovrebbe nemmeno esistere. Pamela Genini aveva chiesto aiuto. Si era presentata all’ospedale con segni evidenti di violenza, aveva parlato, si era esposta. Eppure, nessuno ha attivato il codice rosso. Nessuno ha saputo, voluto o potuto proteggerla.

La cronaca italiana continua a documentare un massacro quotidiano, sistemico, crudele. Una guerra silenziosa che si combatte tra le mura domestiche, troppo spesso nel silenzio e nell'omertà. A ogni nuova vittima, si ripete la stessa trafila: l’indignazione, le fiaccolate, le promesse di interventi. Ma il sangue non si asciuga con le parole.

A parlarne ancora è Maria Antonietta Rositani, donna che ha conosciuto sulla propria pelle la brutalità di chi avrebbe dovuto amarla. Sopravvissuta a un tentato omicidio da parte dell'ex marito, Rositani non si è mai arresa. Ha scelto di trasformare il dolore in battaglia, e la voce in testimonianza. Di fronte all’ennesima tragedia, ha deciso di rompere il silenzio ancora una volta.

Le sue parole sono un grido straziante, lucido e necessario: «Ogni volta che muore una donna per me è una sconfitta, una sconfitta perché urlo, urlo tutti i giorni che la violenza si può combattere e se lo urlo è perché ci credo realmente, ma queste urla non so se arrivano a uno Stato, uno Stato che non so se è sordo oppure semplicemente fa finta di non ascoltare. Il caso di Pamela Gerini, un caso che mi ha stravolto completamente.

Un caso dove la vittima aveva espressamente chiesto aiuto all'ospedale quando è andata con delle percosse, ma lì non si è attivato il cosiddetto codice rosso. Cosa sta succedendo? Cosa? Una donna che ha chiesto aiuto in tutti i modi, una donna di cui oggi si è emerso da amici che aveva un rapporto tossico e violenze continue».

E le sue parole proseguono, come un fiume in piena, denunciando l’abbandono istituzionale, la mancata attivazione del codice rosso, l’indifferenza di una società che si volta dall’altra parte quando una donna chiede aiuto. Maria Antonietta parla da madre, da sopravvissuta, da attivista e da donna che non può più sopportare il silenzio: «Perché questi amici? Perché la società non vuole aiutare queste donne? Perché non ci vuole aiutare? È la società che fa la differenza…

Perché arrivare ad una bara, vedere una nostra amica, sorella, compagna di vita, figlia, madre, in una bara sapendo che lei viveva in casa propria, proprio come lo vivevo io, con il terrore».

Parole che scuotono, che chiedono risposte, che pongono interrogativi a cui non possiamo più sottrarci. La violenza di genere non è emergenza, è una condizione strutturale della nostra società, alimentata da una cultura patriarcale ancora radicata e da un sistema istituzionale troppo spesso incapace di agire.

Maria Antonietta tocca anche un altro nodo cruciale: l’educazione. Denuncia la superficialità con cui si è votato contro l’educazione affettiva nelle scuole, proprio nel giorno in cui Pamela perdeva la vita: «L’educazione affettiva per me ha un ruolo fondamentale in tutto questo. In tanti, proprio il giorno che è morta Pamela, hanno votato no, no all’educazione affettiva nelle scuole elementari e medie. No, no, no perché si crede che a quell’età non siano capaci di capire quello che sia la violenza. Ebbene è sbagliato».

Non possiamo più aspettare che siano solo le vittime a gridare. La violenza di genere non è un affare privato, ma una responsabilità collettiva. Serve una rivoluzione culturale dal basso, che parta dalle famiglie, dalle scuole, dai quartieri. Serve ascolto, formazione, solidarietà. Serve un intervento deciso da parte dello Stato, ma soprattutto un cambiamento profondo della società.

«Perché si hanno oggi ancora queste paure? Perché si ha questa omertà? Io questo non lo riesco più a comprendere. Se solo pensassimo che la violenza alberga in tutte le case, può albergare ovunque, anche nella nostra casa, a questo punto forse ci saremmo scossi? Perché? Perché? Io mi sento di dire che solo ed esclusivamente se la società incomincerà a capire di non farsi questi fatti propri, qualcosa cambierà. E nello stesso tempo se lo Stato ci aiuta, ci aiuta e non ci abbandona. Per questa donna, per Pamela, come tante altre donne, non è scattato il codice rosso. Per questa donna non ha avuto aiuto, non ha avuto protezione, ha cercato di farcela da sola, ma come tutte le donne purtroppo non ce la fanno».

E Maria Antonietta questo abbandono lo ha vissuto sulla sua pelle e un anno fa alla Camera dei Deputati lo ha detto chiaramente. «Dinnanzi alla ministra Roccella, ho ribadito quanto c'è di bisogno verso una donna vittima di violenza. Bisogno concreto, quindi anche bisogno economico. Non si può assolutamente abbandonare una donna vittima di violenza, ma va aiutata e sostenuta da tantissimi tipi di strutture. Purtroppo spesso la gente non denuncia perché ha paura della società, paura del giudizio delle persone, perché vede dall'altra parte che la società non risponde accogliendo la donna, bensì facendo finta di non sapere assolutamente nulla.

Ed è proprio per questo che lo Stato deve aprire al dialogo le famiglie e come? Istituendo a sua volta, a scuola un protocollo dove i bambini, che diventeranno gli uomini del domani e le donne del domani, possano davvero capire quello che è la parola amore. Tutto ciò potrebbe evitare che da grandi possano scaturire scene di violenza, ma nello stesso tempo, sin da bambini, possono anche capire come gestire le loro emozioni anche nel rispetto degli altri bambini. Quindi possiamo evitare il bullismo, possiamo evitare la violenza in generale, se si parla davvero di amore e di affettività».

E la sua testimonianza diventa viva: «Io se ce l'ho fatta penso che sia stato un miracolo, perché anche io sono stata completamente abbandonata. Uno Stato che non ci aiuta in nessun modo ad andare avanti, ad essere supportata. Il mio telefono brilla di telefonate tutti i giorni, di richieste di aiuto, di donne, di donne che hanno semplicemente paura di denunciare, donne che hanno paura di tornare a casa, arrestare con il proprio aguzzino ed aspettare il momento della morte, perché quello andiamo incontro nel momento in cui torniamo a casa. Donne le quali non lavorano e che paradossalmente i figli vengono dati al maltrattante proprio perché loro non li possono accudire. Bambini innocenti che assistono a queste stragi, che assistono a questa violenza in casa. Bambini che devono arrivare poi ad avere dei problemi. Perché? Perché noi società possiamo fare la differenza se accogliamo queste donne e le accogliamo con una umanità, non perché, non giudicandole».

«Dobbiamo semplicemente aiutarci a vicenda. Non dobbiamo andare a sterminarci l’uno con l’altro, ma abbracciarci per quello che può essere un mondo migliore», conclude Maria Antonietta. Non c’è più tempo per la retorica. Le donne continuano a morire. E ognuna di loro è un fallimento di tutti noi.

Se tu o qualcuno che conosci è vittima di violenza, chiama il 1522. Numero gratuito e attivo 24 ore su 24. Non sei sola.