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Un dibattito scientifico, civile e necessario. Si è svolto ieri sera a Villa San Giovanni, in Piazza Valsesia, l’evento dal titolo “Fragilità del territorio: aspetti geologici ed infrastrutturali”, voluto per offrire alla cittadinanza un’occasione di ascolto e riflessione su uno dei temi più delicati e divisivi dell’agenda pubblica: il progetto del Ponte sullo Stretto.
Tre voci autorevoli si sono alternate, moderate dal giornalista Marcello Mento: il Professor Carlo Doglioni, geologo di fama internazionale e già presidente dell’INGV; il Professor Ingegnere Mario De Miranda, esperto in grandi strutture e ponti; e l’Ingegnere Paolo Nuvolone, specializzato in ingegneria ambientale. A emergere, una visione comune: non si tratta di essere a favore o contro il progresso, ma di analizzare con serietà scientifica e responsabilità sociale l’impatto di un’opera che coinvolge direttamente un territorio fragile e densamente abitato.
I relatori hanno evidenziato i numerosi interrogativi aperti: dalla natura geologica dell’area, soggetta a rischio sismico, alla reale sostenibilità economica e sociale di un’infrastruttura che comporterà espropri e impatti permanenti sulla quotidianità degli abitanti. «Le domande sono più delle risposte» è stato sottolineato più volte nel corso della serata, che ha avuto il pregio di portare la scienza fuori dalle aule e tra le persone.
L’evento non ha avuto finalità ideologiche, ma si è posto l’obiettivo di rendere accessibili, in uno spazio pubblico e all’aperto, conoscenze tecniche fondamentali per chi vive e ama questa terra. Una piazza che si è fatta agorà, in cui si è cercato di tradurre numeri, dati e rilievi in consapevolezza collettiva.
Villa San Giovanni, crocevia strategico, merita ascolto e attenzione, non solo come sede di un’opera imponente, ma come comunità da tutelare. Da qui il messaggio forte e chiaro: prima delle ruspe, servono verità. E il dovere di informare.
L’associazione Città in movimento ha voluto questo confronto perché «La lacunosità di un progetto per il quale non è stato evidentemente possibile, sinora, produrre un avanzamento allo stadio esecutivo, è evidenziato del resto negli stessi pronunciamenti emessi dagli organismi istituzionali – non certo ostili pregiudizialmente al Ponte e alla parte politica che lo sostiene – quando ne hanno dovuto sottoscrivere la valutazione d’impatto ambientale, solo parziale e corredata da decine di osservazioni e prescrizioni».
Il Sindaco di Villa San Giovanni Giusy Caminiti ha evidenziato come «una comunità, se non sa, non può discernere. E allora, se il rischio vero – come sempre continuiamo a dire – è quello di un cantiere infinito, la comunità deve sapere cosa questo comporterà».
Paolo Nuvoloni ha voluto porre al centro dell’attenzione il discorso relativo a quelli che «sono gli impatti su questa comunità, su questo territorio estremamente fragile: non solo da un punto di vista fisico, geotecnico, sismico, ambientale, ma anche da un punto di vista strutturale, da un punto di vista di quelli che saranno gli impatti aggiunti dalla cantieristica del ponte sul territorio. E parliamo di viabilità, punto essenziale, assolutamente essenziale. Viabilità di una città che è già oggi al collasso, che possiede due strade principali di viabilità: la via Nazionale, al collasso per il traffico quotidiano – quindi non per un traffico particolarmente straordinario – e l’altra viabilità è quella lungo il lungomare, al collasso per il traffico indotto, almeno per il primo tratto, dal traffico relativo ai traghetti.
Questo è un tema essenziale che va affrontato, a mio parere, in maniera diversa rispetto a quanto è stato fatto finora, nel senso che oggi le elaborazioni progettuali non sono sufficienti per garantire che questa città, iniziato il cantiere, non finisca al collasso. Questo sarebbe gravissimo. Va previsto sicuramente non un incremento della viabilità, ma delle viabilità alternative, delle riabilitate alternative che riguardano i cittadini di questa comunità. Perché, ripeto, non è possibile non prevedere un aumento di traffico indotto dal cantiere. Per cui questo è essenziale, è un tema essenziale. Poi ci sono altri temi, che sono la gestione delle acque reflue, la gestione dei rumori, delle polveri, tantissime altre cose che sono tutte da affrontare. Ma il problema essenziale, per non fare soffocare questa comunità, è il problema della viabilità».
Mario De Miranda ha rimarcato come i territori interessati meritano «molta attenzione, perché hanno una storia di sismi, di terremoti, una geologia segnata da forti movimenti. Per cui occorre moltissima attenzione. È una zona con molte battaglie sismiche, quindi è sicuramente una zona nella quale l’attenzione deve essere massima e la prudenza massima».
La progettazione fino a ora presentata, secondo lei, si addice a questa tipologia di territorio, che – come ha detto – è altamente sismico?
«La progettazione non si deve addire alla situazione in cui si trova, ma deve tenerne conto. Non è detto che la progettazione debba arrivare alla conclusione che una cosa, in quella posizione definita inizialmente, possa essere fatta. A volte si deve cambiare posizionamento, a volte invece lo si mantiene. Si devono fare delle verifiche. Ma il dover fare delle verifiche, delle analisi, delle indagini, vuol dire che possiamo trovarci di fronte a situazioni favorevoli o sfavorevoli, positive o negative, a conferme oppure a non conferme. Le verifiche devono essere fatte prima, le indagini devono essere fatte prima».
E su questo progetto, secondo lei, rispetto a dove siamo arrivati adesso – il governo parla di un’accelerazione, quindi di cantieri già quest’estate – sono state fatte le verifiche di cui lei parla?
«No. Secondo me, per essere chiari: no. La risposta è no. Non è possibile pensare di far partire dei cantieri dopodomani, il mese prossimo, fra due mesi, perché molte altre verifiche devono essere fatte. Non lo dico soltanto io – e posso argomentarlo – ma lo dicono le documentazioni ufficiali. Per esempio, i commenti del comitato scientifico, che sono delle raccomandazioni: chiedono di fare delle indagini conoscitive.
L’indagine conoscitiva può portare a una conoscenza di un tipo, che può confermare le scelte fatte in passato, oppure a una conoscenza differente, che può invece mettere in discussione quelle scelte e richiedere un cambiamento. Per cui, in attesa di quei risultati – prima di avere quei risultati – non è prudente andare avanti. In sintesi, io penso che allo stato attuale si dovrebbero completare tutte le indagini che sono state prefigurate nella fase progettuale iniziale. Si dovrebbero dare risposte a tanti dubbi e a tante richieste che sono state fatte. E alla fine di questo percorso – che non è brevissimo – nel quale dovrebbero anche essere indagate eventuali soluzioni alternative, come aveva proposto di fare il Ministero nel 2021, ma anche nell’ambito di questa soluzione, alla fine di questo percorso, se tutto sarà come si spera, si potrà andare avanti. Se tutto non sarà come si spera, ci si dovrà fermare e cambiare qualcosa.
Senza dare un giudizio personale: alla fine è quello che ci dicono le carte. In poche parole, in questo momento, le carte del progetto – non le mie, non quelle dei giornali, non quelle di qualche associazione – le carte del progetto dicono che esiste una faglia sostanzialmente sotto il pilone, qui a Cannitello. In quella condizione, personalmente, come ingegnere, non lo farei mai. Ma in quella condizione anche l’attuale normativa dice che non si può fare, che non si può costruire entro i 160 metri da una faglia».
Carlo Doglione, atteso a Villa per la sua competenza in materia, ha confermato che «È un’area molto sismica, certamente forse la più sismica d’Italia, una delle più sismiche del Mediterraneo. E l’importante è avere le idee chiare, ma anche le conoscenze più approfondite per riuscire a realizzare un’opera del genere. A mio avviso ci sarebbe ancora molto da fare in questo senso. E quindi forse, per questo, sarebbe opportuno fermarsi e valutare un attimo tutte quelle che sono le condizioni del contorno, la pericolosità sismica, tutti quelli che sono anche gli altri eventuali rischi naturali che lo Stretto comporta. Quello che ho sempre detto, anche in audizioni parlamentari e da più anni, è che la progettazione è basata su delle conoscenze e delle accelerazioni del suolo che sono troppo basse rispetto a quelle che conosciamo e che potrebbero realizzarsi in questa zona».