Essendo ormai normale che si ricordi l’11 settembre 2001 con il tragico attentato alle Torri Gemelle di New York (con 3000 vittime), ritengo giusto ricordare per equità un altrettanto tragico 11 settembre.

Cinquanta­due anni fa, l’11 settembre 1973, un golpe militare in Cile interruppe la via democratica al socialismo del Presidente Salvador Allende.

In quella grigia mattina un feroce attacco guidato dal generale Pinochet pose fine a un’esperienza fortemente innovatrice: la realizzazione di un programma socialista non imposto con la forza ma portato avanti dal presidente Allende, democraticamente eletto il 4 settembre del 1970 alla guida di un’alleanza popolare. Le vittime del golpe furono circa 60.000.

Sin dalla vigilia e poi nella realizzazione del programma, il governo Allende suscitò reazioni contrapposte: da un lato immenso entusiasmo in America Latina e nella sinistra democratica e socialista mondiale, dall’altro una forte ostilità degli Stati Uniti. Le nazionalizzazioni delle miniere di rame e la possibilità che il “modello cileno” fosse esportato in altri Paesi del continente spinsero Washington a muoversi. La CIA ricevette l’ordine sin dal 1970 di organizzare una crisi economica e conquistare consensi nei vertici militari.

Il regista di questa strategia fu Henry Kissinger, Sottosegretario di Stato del Presidente Nixon. Due atti furono decisivi: lo sciopero di nove mesi dei camionisti, sovvenzionato dall’ambasciata USA a Santiago, e l’omicidio del generale Schneider, colpevole di essersi rifiutato di compiere il golpe.

A rendere più agevole il lavoro di Washington fu l’atteggiamento della Russia sovietica, tiepida e reticente verso il governo cileno. Mosca non vedeva di buon occhio un modello di socialismo democratico alternativo a quello leninista. Nel 1973, il segretario del Partito comunista cileno Corvalan chiese invano aiuti economici al Cremlino: il rifiuto fu giustificato con gli impegni segreti presi con gli USA dopo la crisi dei missili di Cuba del 1962, che prevedevano la non ingerenza reciproca nelle rispettive aree di influenza.

Quel rifiuto fu di fatto un via libera a Kissinger per l’azione finale. L’unico fallimento fu l’offerta ad Allende di un trasferimento all’estero. Il presidente rifiutò, lasciando al popolo cileno un messaggio di addio struggente, ribadendo che sarebbe rimasto al suo posto per rispetto al mandato ricevuto. Preferì morire opponendosi ai golpisti nel Palacio de la Moneda.

Quella morte dignitosa pesò allora e pesa ancora oggi come condanna di un atto che diede vita a un regime tirannico lungo 15 anni.

Allego l’ultimo discorso di Allende dal Palacio de la Moneda l’11 settembre 1973:
https://youtu.be/6Sb3P4c9EOY?si=6fapR9vvCNZ3jgfp