«La notizia della possibile chiusura della caserma dei Carabinieri di Saline Joniche desta profonda preoccupazione. In un territorio già fortemente segnato da fragilità infrastrutturali, economiche e sociali, una simile decisione rischierebbe di rappresentare un grave arretramento sul piano della presenza dello Stato, proprio laddove essa è più necessaria.
I presidi di legalità, in contesti come quello dell’Area Grecanica, si legge in una nota diffusa dal Presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Reggio Calabria, non sono semplici strutture operative: sono simboli vivi di vicinanza, ascolto e rassicurazione. La presenza dell’Arma ha da sempre rappresentato un punto di riferimento essenziale per la comunità locale, un ancoraggio civile in un’area in cui le sfide quotidiane sono numerose e complesse.

La chiusura di una caserma non può essere letta come una semplice riorganizzazione amministrativa: è un messaggio. Ed è un messaggio pericoloso. Perché rischia di alimentare la percezione di abbandono istituzionale, di ridurre la fiducia dei cittadini nello Stato e di compromettere il delicato equilibrio tra sicurezza, legalità e prospettive di sviluppo.

È invece proprio in territori come questi che va rafforzata la presenza dello Stato, potenziando i presidi di legalità e investendo in strumenti di prevenzione e coesione sociale. Serve un cambio di passo: un impegno istituzionale concreto per invertire la rotta.

Occorre, in questo senso, immaginare un progetto integrato di rilancio e presidio del territorio: valutare la possibilità di ospitare un istituto scolastico superiore a Saline, così da garantire opportunità formative e radicare nel territorio presìdi culturali e sociali. È necessario altresì individuare soluzioni capaci di creare lavoro e rilanciare l’economia locale, puntando sulla riqualificazione dell’area dell’Officina Grandi Riparazioni e dell’ex Liquichimica, due poli strategici che potrebbero diventare motori di rigenerazione industriale, ambientale e occupazionale.

Ma non può esserci rigenerazione senza visione. È per questo che diventa urgente l’apertura di un confronto istituzionale serio e strutturato sulle aree dismesse dell’Area Grecanica, coinvolgendo tutti gli attori del territorio: istituzioni, ordini professionali, università, mondo imprenditoriale, associazioni e cittadini. Un confronto che non sia episodico né limitato a singole emergenze, ma che si sviluppi attraverso una visione strategica condivisa.

Servono strumenti di pianificazione territoriale nuovi, dinamici, capaci di integrare la dimensione urbanistica con quella economica, sociale e culturale. Non basta recuperare i vuoti urbani: bisogna dare senso e funzione ai luoghi, progettando modelli di sviluppo che generino opportunità e restituiscano identità ai territori. La rigenerazione deve diventare un processo sistemico, alimentato da investimenti, competenze e partecipazione.

Abbiamo una grande responsabilità collettiva: ridare ai giovani la fiducia nelle istituzioni. E non possiamo farlo soltanto con parole o promesse. Per riconquistare quella fiducia occorre creare le condizioni reali perché i giovani possano costruire il proprio futuro qui, nel proprio territorio, con opportunità concrete di formazione, lavoro, crescita e partecipazione attiva alla vita civile.
L’Area Grecanica non può essere lasciata indietro. Ha bisogno di attenzione, di risorse, di idee. E ha bisogno dello Stato, presente non solo con le forze dell’ordine, ma anche con infrastrutture, servizi, scuole, lavoro, cultura.

È per questo che la decisione sulla caserma deve essere riesaminata, nell’ambito di una riflessione più ampia sul futuro del territorio. La sicurezza è un diritto fondamentale, ma lo è anche il diritto a uno sviluppo equo e sostenibile. Preservarli entrambi significa tutelare le comunità e costruire le condizioni minime per una vera rigenerazione sociale, economica e urbana.

Guardare al futuro con fiducia è oggi un dovere morale, oltre che una responsabilità istituzionale. Non possiamo arrenderci all’idea di un destino segnato dall’abbandono o dalla rassegnazione. Abbiamo nelle mani risorse, competenze e visioni capaci di generare cambiamento. È il momento di unire le forze, costruire alleanze virtuose tra pubblico e privato, tra istituzioni e cittadini, e dimostrare che anche nei territori più fragili può nascere una nuova stagione di rinascita. La speranza è concreta quando diventa progetto, azione, comunità».