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«Il carcere non può essere una discarica umana». È questo uno dei passaggi chiave dell’intervento dell’Avvocato Fabio Federico, esponente della Direzione del Partito Radicale, durante il terzo appuntamento dello speciale “Emergenza Carceri in Calabria”, incentrato sulle condizioni detentive nella regione e sulle iniziative civili e politiche per sollevare l’attenzione nazionale sul tema.
Federico ha approfondito i risultati di “Agosto in Carcere”, l’iniziativa promossa ogni anno dal Partito Radicale per monitorare la realtà penitenziaria nei mesi estivi, quando la presenza istituzionale e l’attenzione mediatica calano drasticamente. «Lo facciamo – spiega – proprio perché nei momenti di maggiore solitudine delle fasce più deboli della società, come i detenuti, occorre esserci. La nostra è una denuncia, ma anche una proposta: riportare il carcere all’interno del perimetro della Costituzione».
Il quadro delineato da Federico è allarmante. Parla di condizioni disumane e degradanti, già stigmatizzate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza Torreggiani. Parla di un sistema incapace di realizzare la funzione rieducativa della pena, come previsto dall’articolo 27 della Costituzione. Denuncia il fallimento delle misure alternative, che in strutture come quella di Arghillà, a Reggio Calabria, sono ridotte a numeri simbolici: «340 detenuti, 4 misure alternative, 7 detenzioni domiciliari. Non basta».
Secondo Federico, l’assenza di una riforma organica e sistemica rischia di alimentare una spirale pericolosa, in cui l’aumento di personale penitenziario – annunciato dal Governo – diventa solo una risposta emergenziale, utile a “tamponare”, ma non a trasformare. «Non si può risolvere un problema strutturale con misure tampone. Serve una visione».
In particolare, Federico evidenzia il contesto ambientale e territoriale in cui operano gli istituti calabresi: «Realtà come Arghillà non sono solo carceri degradate, ma si trovano in zone dove la criminalità organizzata incide fortemente sul tessuto sociale. Le carceri non possono essere abbandonate al solo eroico impegno della Polizia Penitenziaria e dei direttori».
Infine, l’appello alla società civile e alle istituzioni politiche: «Abbiamo bisogno di una nuova cultura della pena. Se il carcere non rieduca, ma peggiora, stiamo perdendo tutti. È ora di passare dalle parole ai fatti. Non si può più rinviare».
«Il carcere non deve essere una discarica e tutto quello che lo circonda un ulteriore discarica. Il carcere deve essere il momento nel quale noi comprendiamo che c’è stato un problema critico, una frattura critica da una parte della società rispetto alla realtà, che non c’è connessione, che c’è questa frattura sociale commessa dal reato, ma dobbiamo curare, dobbiamo vedere qual è il problema, il problema sociale, il problema culturale e dobbiamo affrontarlo. Il carcere deve diventare una cosa nuova, una cosa futura. Non possiamo affidare tutto all’eroico impegno dei responsabili dell’amministrazione e a questo punto anche dei detenuti, perché in quelle condizioni 8 persone in carcere in una cella, con situazioni miste, con problematiche di diverso genere e in condizioni ambientali di difficoltà, io non credo che sia un trattamento umano.
Se noi dobbiamo insegnare a persone che hanno forse perso il contatto con l’umanità, che cosa significa essere umani, non possiamo in quelle condizioni, non credo che si migliori la persona che deve giustamente rispondere ad una responsabilità penale a quale è stato condannato, se non capiamo questo siamo così lontani e non lo possiamo più rinviare, questo è il punto, ora non possiamo più rinviare quella che è un’emergenza dichiarata e conclamata».