«Mi vergogno di essere umano». Il peso di questa frase, raccolta per le strade de ilReggino.it nello speciale Vox Populi, non si cancella facilmente. È una voce tra tante, ma racchiude l’essenza di ciò che molti cittadini oggi provano davanti allo scenario globale segnato da conflitti, soprusi e un silenzio assordante della politica internazionale. Dalla guerra a Gaza all’attacco all’Iran, passando per le scelte di riarmo dell’Italia e il ruolo sempre più controverso degli Stati Uniti, l’inquietudine arriva fin qui, sullo Stretto. E si fa opinione.

«Stiamo tornando indietro», dice una donna, madre di un adolescente, con la voce che trema parlando dei bambini palestinesi. «Mi vengono i brividi», aggiunge. La guerra, per chi ha occhi per vedere, non è mai “lontana”. È un virus che scavalca i confini, penetra nelle case, nei pensieri, negli sguardi di chi teme per il proprio figlio e per i figli degli altri. «Ci si vergogna – confessa un altro intervistato – perché ancora non abbiamo capito che uccidere un tuo simile è assurdo».

Le guerre che bruciano il Medio Oriente si riflettono anche nel Mediterraneo, e Reggio Calabria, crocevia di culture e popoli, lo percepisce sulla pelle. «Siamo nelle mani di pochi pazzi», esclama un altro passante. Il riferimento va a chi guida gli equilibri internazionali, spesso più interessato al potere che alla diplomazia. La percezione è chiara: la legge del più forte ha soppiantato il diritto internazionale.

C’è chi fa riferimento all’articolo 11 della Costituzione, ricordando che l’Italia ripudia la guerra, ma poi «produce e vende armi». Il cortocircuito è lampante: si fabbricano bombe, si riempiono gli arsenali, e poi inevitabilmente si usano. Un meccanismo perverso che secondo molti reggini dovrebbe spingerci a una riflessione collettiva: «Che razza di Paese vogliamo essere?»

L’assenza di una voce forte per la pace, soprattutto in Italia, è vista con disillusione. Il governo – dicono in tanti – è schierato, anche quando finge di non esserlo. «Quando non si prende una posizione, la posizione è già presa». E il prezzo lo pagano sempre i più deboli: «I bambini», come ricorda con forza un’altra madre.

Non c’è solo indignazione, ma anche una richiesta di verità e controinformazione, al di là delle narrazioni dominanti che spesso – sostengono alcuni – “fomentano la guerra, la rendono accettabile”. L’informazione, per molti, dovrebbe recuperare un ruolo attivo: quello di smascherare la propaganda, restituendo alle persone strumenti per pensare, non per schierarsi.

Nel cuore delle interviste, c’è una consapevolezza quasi filosofica che appartiene a tutti: «Il mondo è una sfera e appartiene a tutti». Nessuno può sentirsi al riparo. «Basta poco per rompere l’equilibrio». Lo sanno bene anche i più anziani, che vedono in queste tensioni l’ombra lunga del passato. «Le guerre più grosse – si ricorda – sono partite da cosette».

E allora, tra chi si dice spaesato e chi, pur non sentendosi esperto, rivolge lo sguardo al “bello”, emerge la speranza che si possa ancora fare qualcosa. A partire da noi, da chi rifiuta la logica della sopraffazione e della paura, per abbracciare quella dell’empatia.

«L’uomo che soffre, soffre in tutto il mondo per colpa di un altro uomo». È una frase semplice, ma spiazzante. Che sposta la questione dal piano geopolitico a quello umano. Perché anche quando tutto sembra remoto, la guerra ci riguarda. Sempre.