Reggio Calabria, luglio 1970. Una città in guerra per contestare la scelta del Governo di designare Catanzaro come capoluogo di Regione. I cittadini scelsero la strada della rivolta. Ci furono disordini, scontri, morti, feriti e migliaia di arresti, nonché danni per miliardi di vecchie lire. A 50 danni da quei drammatici fatti “Il Venerdì” di Repubblica, attraverso un interessante reportage di Giuseppe Smorto, è tornato in riva allo Stretto per capire come si scatenò quella rabbia e cosa è rimasto di quei giorni.

Per Renato Meduri, figura storica della destra locale, «Reggio fu venduta agli interessi di Psi e Dc. La repressione fu vergognosa, lo Stato parlò solo con i fucili e gli ordini di comparizione. Riconciliazione? Mai!». Per il calabrese Marco Minniti, ex ministro del Pd, invece «Reggio fu il buco nero della democrazia in Italia, molto presto la rivolta fu pilotata dall’estrema destra, Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale». Significativa la testimonianza di Silvio Mavilla, che ai tempi lavorava come fotografo: «Il Tg taceva e minimizzava. Poi diventammo fascisti per tutto il mondo».

Le proteste e le barricate finirono nel febbraio 1971 quando il governo di Emilio Colombo, per placare l’ira reggina, optò per una distribuzione regionale delle principali sedi istituzionali: Giunta a Catanzaro, assemblea a Reggio, università a Cosenza. Inoltre fu promesso di costruire un centro siderurgico a Gioia Tauro e uno stabilimento Liquichimica a Saline per 10mila nuovi posti di lavoro.

Sui fatti di Reggio è di recente pubblicazione “Salutiamo amico”, di Gianfrancesco Turano, firma de “L’Espresso”, romanzo tra fiction e realtà in cui vengono ripercorsi quei folli mesi con tutti i loro lati oscuri.