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Palmi, il coraggio di Rossella Casini la “forestiera” giustiziata dalla ‘ndrangheta

La giovane fiorentina scomparve il 22 febbraio 1981. Aveva persuaso il fidanzato calabrese Francesco Frisina a collaborare con la giustizia

Palmi, il coraggio di Rossella Casini la “forestiera” giustiziata dalla ‘ndrangheta

Sono trascorsi 42 anni da quel 22 febbraio 1981, da quella telefonata fatta al padre Loredano da Palmi, dove era tornata nonostante i rischi e i pericoli, seguendo il suo cuore e un profondo senso di giustizia.

Rossella Casini aveva 25 anni quando è scomparsa nel nulla a Palmi, nel reggino. Il suo corpo non è stato mai ritrovato e la sua morte ancora oggi non ha responsabili. Il ricordo di questa coraggiosa giovane donna, che con le sue scelte sfidò l’omertà mafiosa forte della sua coscienza di persona libera, unisce la Toscana e la Calabria, Firenze e Palmi.

Figlia unica di Clara e Loredano, venne punita per avere denunciato quello che aveva visto accadere in Calabria. Rossella si recava a Palmi al seguito del fidanzato Francesco Frisina. All’apparenza uno studente fuori sede a Firenze ma nella sostanza un affiliato alla cosca Frisina-Gallico, in quel frangente in piena faida contro le ‘ndrine Parrello-Condello.

Giovane donna libera e ribelle

Una storia rimasta a lungo avvolta nell’oblio. Una giovane rimasta a lungo senza volto. Poi la foto reperita nell‘archivio universitario di Firenze. Preziosi i contributi di Libera nomi e numeri contro le mafie, che annovera il suo nome tra le vittime innocenti della ‘ndrangheta, e della scrittrice e giornalista reggina Francesca Chirico. È dedicato alla famiglia Casini il suo saggio “Io parlo. Donne ribelli in terra di ndrangheta”, pubblicato nel 2013 con prefazione di Michele Prestipino all’epoca procuratore aggiunto della dda di Reggio Calabria.  La prima donna che “parla”, attraverso le pagine di Francesca Chirico, è proprio Rossella.

«Infrangendo il silenzio assegnato dalla tradizione e preteso dalle cosche, combattendo paura e pudore, raccogliendo, non in misura uguale, disprezzo e solidarietà – scrive Francesca Chirico – in Calabria ci sono donne che hanno parlato.

Madri, figlie, sorelle che negli ultimi trent’anni, hanno socializzato il dolore, per socializzare l’ingiustizia, rimanendo spesso sole o isolate e pagando, in troppe, un prezzo altissimo. Vittime di ‘ndrangheta che, senza vittimistica rassegnazione, hanno trasformato la ricerca privata di giustizia in una battaglia collettiva di civiltà, “il pathos della tragedia in ethos della democrazia“».

Così scrive Francesca Chirico, alimentando la memoria e la consapevolezza che tra queste donne c’è anche Rossella Casini. Calabrese non era ma con altre coraggiose donne che lo erano, come Marianna Rombolà, Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola e la collaboratrice di giustizia Giuseppina Pesce, ha pagato con la sua vita la scelta di stare dalla parte opposta alla ‘ndrangheta fino in fondo.

Punita per avere sfidato l’omertà e il silenzio

Rossella, poco più che ventenne, studiava Psicologia, all’università di Firenze. Nel 1977 aveva conosciuto Francesco Frisina, studente calabrese presso la facoltà di Economia dell’università di Siena. Francesco aveva affittato con altri fuori sede un appartamento nella stessa palazzina ottocentesca dove viveva la famiglia Casini, in Borgo la Croce a Firenze. Nacque un sentimento profondo che però spezzò la vita di Rossella. Seppure spaventata da quello che avrebbe da lì a qualche anno scoperto a Palmi del suo Francesco, non arretrò e tentò di salvarlo, andando incontro a una morte prematura e feroce.

Nel luglio del 1979, Rossella era in vacanza in Calabria con Francesco. Proprio in quei giorni Domenico Frisina, imprenditore agricolo e padre del giovane venne assassinato. Un evento tragico che pose Rossella di fronte alla più terribile delle evidenze. La famiglia del suo fidanzato era al centro di una guerra di mafia. Il sentimento che la univa a Francesco resistette ma altre dure prove l’attendevano.

La persuasione e la denuncia

Solo pochi mesi più tardi, nel dicembre 1979, lo stesso Francesco fu ferito alla testa riportando lesioni gravi. Il contesto era chiaro come anche le idee di Rossella che riuscì a fare trasferire Francesco dall’ospedale di Reggio Calabria a quello di Firenze. Durante il ricovero era riuscita a persuadere Francesco a collaborare con la giustizia. Nel febbraio del 1980 la stessa Rossella rilasciò dichiarazioni su quanto aveva visto in Calabria al procuratore fiorentino Francesco Fleury. I verbali arrivarono dritti alla procura di Palmi. Quella scelta di coraggio nel tentativo di costruire con il suo fidanzato un futuro libero sarebbe stata brutalmente punita. La reazione della famiglia Frisina nei confronti della “forestiera che portava solo problemi” fu, infatti, immediata e violenta.

La ritorsione e la punizione

Ci fu l’intervento del cognato di Francesco, marito della sorella Concetta, Pino Mazzullo. Francesco fu costretto a ritrattare. Rossella, che intanto rimaneva accanto a Francesco, fu ritenuta colpevole di questo pentimento e “condannata”. Scomparve il 22 febbraio del 1981 a Palmi, dopo la telefonata al padre Loredano e l’annuncio di un ritorno a Firenze che non ebbe mai luogo.

Mamma Clara non sopravvisse alla perdita. Papà Loredano fece in tempo a leggere sui giornali, tredici anni dopo, nel 1994, la più terribile delle verità sulla morte della sua unica figlia.

Il pentito palermitano Vincenzo Lo Vecchio, affiliato al clan Gallico-Frisina, latitante tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta a Palmi, rivelò che Rossella era stata uccisa. Era stata punita. La sua colpa era stata quella di aver convinto il fidanzato Francesco Frisina a collaborare con la giustizia. Per questo era stata rapita andando incontro a una morte terribile.

Tutti assolti

Una morte che resta ancora oggi impunita. Il processo di primo grado iniziò con ritardo, soltanto nel 1997. Imputati furono Domenico Gallico, il capo della ‘ndrina, Pietro Managò, il fidanzato Francesco Frisina e la sorella Concetta Frisina, che un ruolo chiave rivestì nella “condanna” di Rossella. Tra rinvii e impasse procedurali, il processo si protrasse fino al 2006, anno in cui la corte di assise di Palmi assolse tutti gli imputati per insufficienza di prove.

Un altro delitto senza colpevoli. Un’altra vittima innocente e un’altra famiglia senza giustizia.

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