Reggio, dopo la bomba in procura nel 2010 con Berlusconi il primo consiglio dei Ministri in Calabria
Nell’annus horribilis anche il cavaliere, allora premier, tra le massime autorità dello Stato scese in riva allo Stretto
La bomba alla procura di Reggio Calabria nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 2010. Qualche giorno dopo il vertice in prefettura con Roberto Maroni, scomparso lo scorso anno, e Angelino Alfano, all’epoca rispettivamente ministro dell’Interno e ministro dei Giustizia. Presenti anche il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, poi divenuto presidente nel Senato, e il procuratore capo della Repubblica di Reggio, Giuseppe Pignatone.
In questo solco si innesta la convocazione del consiglio dei ministri straordinario presieduto da Silvio Berlusconi proprio a Reggio. Sindaco era Giuseppe Scopelliti al suo secondo mandato. Il primo in Calabria.
Il consiglio dei ministri approda, infatti, per la prima volta in nella nostra regione proprio in questo frangente critico. Convocato in via straordinaria dal premier, il 28 gennaio 2010. Unico punto all’ordine del giorno il varo del Piano di contrasto alla mafia.
Quel giorno non fu scevro di polemiche. In occasione della conferenza stampa seguita al Cdm, Berlusconi riferendo dell’impegno di contrasto all’immigrazione clandestina, accomunò gli immigrati clandestini ai delinquenti.
Il piano di contrasto alla mafia
Tornando al piano di contrasto alla mafia, fu previsto il potenziamento delle misure di protezione dei magistrati e il rafforzamento dei sistemi anti intrusione presso il palazzo di Giustizia. Quello fu uno cdm storico anche per l’istituzione a Reggio Calabria della sede principale (nel frattempo divenuta secondaria) dell’Agenzia Nazionale dei Beni confiscati e sequestrati alla criminalità organizzata.
Questa misura, poi stralciata e divenuta oggetto di apposito decreto legge approvato il 4 febbraio 2010 e convertito in legge il 31 marzo successivo, si inquadrava nel potenziamento in termini di azione investigativa e aggressione ai patrimoni mafiosi. Si attendeva anche un contributo alla riutilizzazione sociale dei beni medesimi, aspetto ancora carente nella sua applicazione.
Intimidazioni e attentati
Quello fu un momento buio nella storia della città. Seguì una scia di intimidazioni. Il 21 gennaio successivo, arrivò in visita anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano e una Fiat Marea con a bordo un arsenale venne lasciata lungo il tragitto presidenziale. Poi ancora un’altra bomba fu fatta esplodere nella notte presso l’abitazione del procuratore generale Salvatore Di Landro nell’agosto sempre del 2010. Un annus horribilis, insomma.
La sede reggina dell’agenzia dei beni confiscati
Fu dunque, la drammaticità di quel frangente a spingere l’allora governo guidato da Silvio Berlusconi a venire in Calabria per il primo consiglio dei ministri della regione. Fortemente simbolica anche la scelta di istituire la sede nazionale dell’agenzia dei Beni confiscati a Reggio, già allora terzo capoluogo di provincia per numero di beni insistenti sul suo territorio nella terza regione dopo Sicilia e Campania. Una scelta che ebbe, però, risonanza e ricaduta limitata. Nell’indifferenza generale, nel 2017 il Codice Antimafia ha disposto lo spostamento della sede principale a Roma, declassando quella di Reggio Calabria a sede secondaria.
La ‘ndrangheta nel codice penale
In quel pacchetto di misure c’era, dunque, la volontà di riscattare una comunità e il lavoro di magistrati e forze dell’ordine nel contrasto alla ‘ndrangheta. Il crimine mafioso calabrese della sua denominazione specifica di ‘ndrangheta fu introdotto proprio in forza di quel piano nel codice penale italiano all’ultimo comma dell’articolo 416-bis.
Reggio Non Tace
Quell’intimidazione nel cuore della notte davanti al palazzo della Procura generale, aveva richiamato in Calabria, le massime autorità in materia di Affari Interni e Giustizia, mentre un folto corteo di cittadini, su impulso di Reggio Non tace, aveva abbracciato con le fiaccole la sede della magistratura colpita.