Un’occasione per fare il punto su quella che è la microcriminalità organizzata a Reggio Calabria. Un fenomeno in espansione che forse fa più paura delle forme di ‘Ndrangheta più potenti perché quotidiana. Tuttavia, ci sono realtà associative come quella della Casa della solidarietà Pasquale Rotatore di Catona che cercano di ristabilire, accogliere e rieducare, per continuare un percorso di comunità. Ma questi quartieri rischiano sempre il pericolo di essere ghettizzati. E a Reggio Calabria questa è già una realtà abbastanza presente.

Il Generale Totaro

Il percorso avviato, però, va in tutt’altra direzione ci ha spiegato il Comandante Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria Gen. Br. Cesario Totaro. La paura che i criminali dopo aver scontato la pena tornino a delinquere nelle stesse realtà che lo hanno accolto, va superata «soprattutto in termini di comunicazione perché, se parliamo di microcriminalità, già si sminuisce il fenomeno in sé. Ma è anche vero che noi abbiamo un obbligo di rieducazione. La stessa Arma dei carabinieri, con i suoi presidi, non può essere vista solo come uno strumento di repressione. Ecco perché oggi siamo qui, insieme a questa comunità, per veicolare un messaggio diverso su cosa sia davvero il concetto di sicurezza, e fare un giusto distinguo fra sicurezza e insicurezza. Perché, tante volte, il problema passa attraverso la percezione che abbiamo di un fenomeno.

Un fenomeno che viene percepito come insicuro, ma che in realtà non lo è. Ecco come la presenza dell’Arma, non solo oggi ma quotidianamente sul territorio, sta cercando, anzi, sta riuscendo a ristabilire questa sicurezza e a dare ai cittadini un senso di appartenenza allo Stato e alla comunità. Ma questo processo passa attraverso un aspetto di prossimità e attraverso un’educazione alla cultura della legalità. Ecco perché affrontiamo e ci avviciniamo alla popolazione in questi percorsi, che facciamo insieme, in progetti che facciamo insieme». 

I quartieri a rischio ghetto

I quartieri difficili di Reggio Calabria, che sembrano ghettizzati, sono molti: non solo Catona, Arghillà, Archi, Piazza Sant’Agostino, il rione Marconi. L’Arma è sempre presente a livello repressivo, ma non basta. «Quello che noi invitiamo a fare è riappropriarci di questi luoghi. Perché, dove c’è la cittadinanza attiva, c’è la popolazione buona per forza di cose, gli altri si ritrovano in qualche modo emarginati o, ancora meglio, integrati nella comunità».

Il ruolo della giustizia

Flavia Modica, Pubblico Ministero a Reggio Calabria ha inteso abbracciare quest’ottica guardando alla microcriminalità non solo in termini repressivi, ma anche come un’azione comunitaria che tenda a rieducare l’intera collettività e ad accogliere chi ha commesso un reato per reintegrarlo.

«Ciò su cui vogliamo riflettere, anche come magistrati impegnati su questo territorio, è come calibrare l’intervento della giustizia affinché, in un primo momento, sia necessariamente repressivo per ristabilire l’ordine e la sicurezza pubblica, che è un bene fondamentale per i cittadini. Tuttavia, è importante ricalibrare questo intervento affinché produca frutti a lungo termine, attraverso il riempimento delle misure limitative della libertà con contenuti rieducativi. Parliamo, ad esempio, di inserimento lavorativo, di programmi di recupero, per aiutare le persone a riflettere su quanto hanno fatto. In questo senso, uno strumento fondamentale sono le misure alternative alla detenzione, che però richiedono un investimento anche sul sociale e sulle realtà territoriali, come quella in cui ci troviamo oggi. Questo per consentire loro di partecipare a programmi di recupero e di rieducazione delle persone».

E Chiara Greco, sostituta procuratrice alla Procura di Reggio Calabria ha voluto focalizzare il suo contributo guardando ai quartieri ghettizzati e difficili dove spesso si trovano a fare giustizia. Un territorio che tende a reprimere senza curare il male alla radice. E l’educazione, partendo dai più piccoli, potrebbe eliminare il problema alla base.

«Serve sollecitare la cittadinanza a segnalare eventuali situazioni di disagio, soprattutto con riferimento ai bambini. Spesso, quando interviene l’autorità giudiziaria, si è già in una fase avanzata della problematica. Invece, se tutti, nella vita quotidiana, stessimo più attenti a chi ci circonda, alcune situazioni di disagio potrebbero essere disinnescate prima di sfociare in criminalità. Ad esempio, se parliamo con i nostri figli e ci rendiamo conto che un loro compagno di scuola frequenta poco, non è curato o manifesta disagio, invece di voltare lo sguardo e pensare che qualcun altro se ne debba occupare, potremmo farci noi portavoce di un tentativo di aiuto. In questo modo, diminuirebbero le situazioni di disagio che, se non affrontate, possono sfociare in criminalità e arrivare alla nostra attenzione».

Il Prefetto Clara Vaccaro e il referente  regionale del Terzo settore Luciano Squillaci hanno contribuito nel comprendere quanto sia fondamentale la rieducazione alla legalità. E a portare il contributo dell’amministrazione è stato il presidente del Consiglio comunale di Reggio Calabria Enzo Marra. «Vorrei partire da un concetto all’apparenza molto semplice, che si trasforma in interrogativo: cosa può fare concretamente un’amministrazione comunale sui territori di periferia, laddove povertà e disagio generano inevitabilmente microcriminalità e insicurezza? Come si può intervenire per migliorare quei luoghi, creando condizioni di sviluppo? A me sembra necessario, ma anche spesso sottovalutata, la fase dell’ascolto. Non occorre realizzare necessariamente ciò che un’amministrazione ha immaginato ex ante. Ma serve andare costantemente sui territori e porsi in ascolto.

Deve essere la cittadinanza la vera protagonista, in tutte le sue declinazioni, così da sentirsi pienamente partecipe e coinvolta nei progetti di sviluppo urbano. Partire dai più piccoli, dunque. Noi vorremmo proprio fare questo. Avviare progetti ed iniziative che possano mostrare, anche a chi ha avuto la sfortuna di nascere in contesti più disagiati, che un mondo diverso è possibile; che la cura dei beni collettivi non è utopica. Siamo consapevoli come ci sia tantissimo ancora da fare. E a tal proposito vorrei chiudere con una frase celebre di Sant’Agostino che non può non essere un faro del nostro agire: “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle”. Partiamo dallo sdegno, il coraggio allora, sono certo che arriverà».