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Resta in carcere la donna 40enne di Villa San Giovanni accusata di aver ucciso il nipote subito dopo il parto della figlia 13enne. Stamattina l’interrogatorio di garanzia e mentre gli inquirenti continuano le indagini per comprendere cosa sia accaduto la notte di sabato, prima della tragica scoperta, ci si interroga sulle responsabilità sociali di questa tragedia.
Il racconto
«Ci ha ingannato». Ha detto la dirigente della scuola frequentata dalle due sorelline parlando della madre. «Raccontava di un padre presente ma imbarcato per lavoro e che guadagnava bene». A scuola le due ragazze erano regolarmente presenti e curate. Nulla ha fatto sospettare le insegnati, anche quella di sostegno che seguiva la ragazza affetta da un deficit cognitivo. «Da febbraio avevamo notato un cambiamento fisico ma la madre, che era sempre molto presente, ha spiegato che la ragazza stava curando una dermatite con del cortisone».
Una presenza costante, dunque, quella della madre a scuola che cozza con la realtà che dirigente e docenti hanno scoperto lunedì dopo la tragica scoperta. Quando gli inquirenti hanno interrogato la docente di sostegno e dirigente è emerso un quadro che non lasciava presagire un gesto cosi efferato.
Eppure la “sceneggiata” è continuata fino alla fine. Quando il lunedì precedente la madre è andata a prendere a scuola la figlia a causa di perdite ematiche. «Ha sospeso il cortisone e le sarà tornato il ciclo», diceva. Alla luce di quanto accaduto sappiamo tutti cosa rappresentasse quel malessere.
Sono amareggiati e rammaricati. Per aver creduto a quella che oggi sembra una vera e propria messa in scena. «Se ci avessero segnalato dal Comune la situazione della famiglia avremmo capito che la madre mentiva».
Così continua la ricerca di una responsabilità che potrebbe dare risposte a costanti domande. Perché chi conosceva quella situazione non è intervenuto? I servizi sociali cosa hanno fatto? Bastano gli aiuti economici? Il padre in tutta questa triste storia che ruolo ha?

