Domina la parete di fondo del piano terra, dove è allestita anche la sala dei Bronzi, del museo archeologico nazionale di Reggio Calabria l’imponente Mosaico Guarna, una pavimentazione musiva, solo in parte ricostruita, la cui scoperta risale al 1922, quando gli scavi per le fondazioni di casa Guarna, situata fra via Fata Morgana e via Marina Alta a Reggio Calabria, lasciarono emergere i resti di alcune murature antiche che sarebbero state presto attribuite a un complesso termale di età romana. Prezioso fu l’apporto N.H. Carlo Guarna che sottrasse il mosaico all’oblio, collaborando attivamente con la Sovrintendenza.

Atleti impegnati nel pugilato e nel pancrazio

«Il Mosaico Guarna è in realtà un pavimento che assume il cognome del proprietario del palazzo che insisteva della zona in cui è stato rinvenuto. Esso – spiega l’archeologa del Museo, Martina D’Onofrio – proviene da un complesso termale. La raffigurazione non è pienamente leggibile ma è possibile riconoscere due gruppi di atleti, uno su ciascun lato, affiancati da un allenatore giudice. Questi atleti si affrontano.

Una coppia si sfida nel pugilato e l’altra nel pancrazio, sempre una forma di lotta il cui obiettivo era quello di immobilizzare l’avversario in ogni modo possibile. Al centro invece sono raffigurati i simboli della vittoria, come la corona che possiamo intravedere. Esso risale al III secolo d.C. Quindi è si tratta di un reperto della fase più tarda che abbiamo nel museo di Reggio rappresentata», spiega ancora l’archeologa Martina D’Onofrio.

Tessere di calcare bianche e nere

Il pavimento, tessellato in tessere di calcare sia bianco che scuro, ha una superficie di 295 × 565 cm. Non si conosce, invece, l’estensione di questo complesso termale. Restando nel campo ipotetico esso forse comprendeva un’altra importante evidenza archeologica nel centro storico di Reggio, emersa nel 1930 durante gli scavi per la costruzione del Grande Albergo Miramare, da tempo ormai chiuso.

Restaurato, dopo l’intervento già eseguito in antico, da Giovanni Riccardi, con la direzione dell’allora Sovrintendente Simonetta Bonomi e dell’allor direttore del MArRC Carmelo Malacrino, nell’ambito del progetto Restituzioni nel 2013.

Il restauro nel 2013

«I due gruppi di tre figure in scala poco inferiore al vero (altezza 160 cm ca) – si legge nella scheda compilata da Carmelo Malacrino – sono rese in tessere nere con delineature e dettagli interni tracciati in tessere bianche. In entrambi i gruppi la figura restante, vestita di mantello, e identificabile con il personaggio dell’allenatore-giudice: l’una reca in mano un ramoscello di palma, l’altra una piccola verga. Sul fondo della scena, in alto, e visibile un’ampulla olearia fiancheggiata da due strigili appesi per il manico. Si tratta del caratteristico corredo dell’atleta necessario prima per ungere e poi per detergere il corpo.

La scena, stilisticamente, ben si inquadra in una serie di produzioni musive in tessere bianche e nere databili alla prima meta del III secolo d.C. Essa trova numerosi confronti a Ostia con il mosaico con pugilatori della Caupona di Alexander Helix, con la scena di misura del grano dell’Aula dei Mensores o con la grande composizione che decorava l’apodyterium delle Terme dei Sette Sapienti.

Un dettaglio interessante e la presenza dei nomi degli atleti scritti in caratteri greci, purtroppo conservati lacunosamente. In alto a destra si legge solo parte del nome di uno dei due atleti, (…)ΑΡΟΣ, per il quale ancora non è stata avanzata alcuna ipotesi di integrazione. In alto a sinistra, invece, compaiono i nomi dei due pancraziasti.

I nomi degli atleti

Il primo, ΤΡΙΜΩΡ, potrebbe essere letto come abbreviazione per troncamento di Τριʹμωρ(ος) e venire attribuito a un atleta forse di origine egiziana. Il secondo, ΔΑΜΑΣ, verosimilmente e identificabile con Marcus Aurelius Damas, figlio del più noto atleta Marcus Aurelius Demostratus Damas, originario di Sardi.  Marcus Aurelius Demostratus Damas fu vincitore a Olimpia nel 173 e nel 177 d.C., nonché fondatore di un’associazione alla quale aderivano i principali lottatori professionisti del tempo. In alcune iscrizioni compare sia come pancraziaste (παγκρατιαστηʹς) che pugile invincibile (πυʹκτηςα’ʹλειπτος), ma anche come vincitore (παραʹδοξος) in un solo giorno nella gara di pancrazio e nel pentatlo.

La presenza di un ipocausto inferiore, associato al tema iconografico, conclude l’ex direttore del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, Carmelo Malacrino – permette di attribuirlo alla sala riscaldata (caldarium o laconicum) di un edificio termale di un certo impegno architettonico».