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di Maria Teresa D’Agostino – «Facevamo tutto insieme, io e Nik. Da quanto è mancato, cinque anni fa, non è per niente facile. Però io sono una testa dura e riesco a sopravvivere, a gestire la baracca. Con fatica. A nessuno interessa niente di MuSaBa. Anzi, a volte mettono pure i bastoni tra le ruote. Ma a questo sono abituata. Da quanto sono arrivata qui, negli anni Sessanta, già allora c’erano sempre problemi. Sono abituata, resisto. Non per niente mi chiamano “guerriera”».
È sempre diretta, senza filtri, le cose non le manda a dire Hiske Maas, radici nordeuropee e cultura cosmopolita, cittadina del mondo come il grande Nik Spatari. Una vita insieme, da Parigi, Londra, Milano, a Mammola. Un angolo dimenticato della Calabria, tra resti di ferrovie, ruderi antichi, echi di battaglie che tornano nel greto del Torbido, erba secca. Un mondo trasfigurato, ricreato, ricomposto come un mosaico. Oggi una dimensione come sospesa nel tempo e nello spazio, densa di figure, colori e fascinazione. La straordinaria forza artistica di Nik e la creatività tenace di Hiske.
Musaba è il luogo dell’arte di Spatari, ma anche della vostra unione professionale e personale. Che amore è stato il vostro?
«Amore? La parola amore non mi dice niente. Io e Nik ci siamo incontrati, ci siamo capiti al volo e abbiamo deciso di andare in giro per il mondo insieme, sfuggendo ai ladri d’arte, liberi.
Sono andata con lui a casa dei miei, in Olanda, e ho detto che saremmo partiti. Non si sono stupiti. Mio padre era campione olimpico di vela, i miei tre fratelli erano tutti ligi alle regole, studiavano all’università. Io facevo l’Accademia d’Arte, altra storia. Eravamo abituati a spostarci tutti insieme per il mondo, così io avevo scelto di studiare a Londra come ragazza alla pari, facendo piccoli lavoretti per mantenermi. Poi sono stata a Parigi, a New York e di nuovo Parigi, dove ho incontrato Nik. Era il 1960».
Come vi siete conosciuti?
«Girando per il quartiere latino, un giorno, ho visto un mucchio di gente in un posto e mi sono avvicinata. C’era una galleria d’arte e la mostra di Nik, che io non conoscevo. Sono entrata, ho visto i suoi quadri e una parete vuota con sopra un bigliettino “Mercì pour ces belles toiles – Jean Cocteau” (Grazie per queste belle tele – Jean Cocteau).
Mi parse strano. Dopo ho saputo che Cocteau, scrittore, drammaturgo, pittore noto nel mondo, abitava lì in zona e che i galleristi si erano messi d’accordo con lui perché andasse a “rubare” quadri di Nik lasciando quella frase. La notizia del furto di Jean Cocteau si diffuse immediatamente e Nik divenne famoso (ride, ndr). In seguito ha conosciuto pure Le Courbusier, architetto di grande fama, e ha iniziato a frequentare il suo studio. Nik era un grande artista e lo avevano capito in tanti. Comunque, un paio di giorni dopo il “furto”, ho preso un treno per Losanna, dove vivevo e insegnavo. Era pienissimo, c’era solo un piccolo spazio per appoggiarsi ed era proprio vicino a Nik, che per caso aveva preso lo stesso treno.
Così iniziammo a parlare e ci scambiammo gli indirizzi. Finì lì. Io poi andai a New York dove, oltre a studiare, iniziai a disegnare stoffe batik per una ditta norvegese, avevo imparato a farlo a Parigi. E quando sono arrivata in Calabria, giravo con quei vestitini trasparentissimi, creati da me. All’epoca uno scandalo. Tornando al periodo newyorkese, la ditta fallì e in breve fui costretta a rientrare in Olanda. Mi annoiavo. Allora tirai fuori l’indirizzo di Nik e lo raggiunsi in Calabria. Abbiamo cominciato a girare su una 500 scassata. Siamo stati per un po’ in un piccolo paese in provincia di Catanzaro. Poi siamo andati a Milano, a Brera. Vivevamo in una grande casa che era stato un bordello pieno di artisti e prostitute.
Ma abbiamo incontrato pure molti ladri d’arte. E siamo fuggiti. Siamo tornati a Mammola, l’ex stazione delle Calabro-lucane è divenuta la nostra casa. Era un rudere abitato da rumorosi barbagianni. Abbiamo iniziato sistemando lì. Poi abbiamo restaurato quel che restava del complesso storico di Santa Barbara. Era sul finire degli anni ’60. Così è nato MuSaBa, tra denunce, persecuzioni e la nostra resistenza, grazie al genio di Nik che aveva inventato un’architettura nuova».
Un lavoro lungo più di cinquant’anni, da cui è nata arte innovativa, incredibile commistione di forme ancestrali e visioni future. MuSaBa è davvero unico. Cosa è accaduto in questi anni?
«Nonostante la mancanza totale di aiuto da parte delle istituzioni, la cosa interessante è che ogni giorno vediamo arrivare sempre più gente, c’è sempre più movimento. Ventimila visitatori, all’anno, da ogni parte del mondo, molti anche dal nord Italia. E questa è una novità arrivata dopo il covid. La gente cercava luoghi più liberi, dove c’è meno movimento, ed ha scoperto la Calabria. Prima esistevano la Puglia, la Sicilia e basta, ora è diverso. Circa cinquemila studenti, ogni anno, arrivano per fare visite guidate, laboratori di mosaico con la tecnica di Nik, e vanno via entusiasti. Siamo diventati un luogo da vedere. C’è un grande passaparola. Ma abbiamo sempre tante mancanze, strade dissestate, assenza di indicazioni, e nessuno fa niente.
Dormono. Comune, Regione, Parco d’Aspromonte sono del tutto assenti, nessuno dà una mano, non si muove niente. Eppure MuSaBa rappresenta un grande ritorno d’immagine per la Calabria. Solo Rosario Olivo, quando era presidente della Regione, ci ha dato due milioni e mezzo di lire. Ma subito dopo ci hanno sequestrato tutto, siamo finiti in un tritacarne di accuse infondate, finito nel nulla. Persecuzioni continue. Ma io e Nik non abbiamo mai mollato. MuSaBa rappresenta oggi tutto questo percorso difficile ma entusiasmante. Un’avventura incredibile. Nik era un genio e qui vive ancora tutta la sua genialità».
Nik ha dato un forte impulso all’arte contemporanea unendo diverse espressioni artistiche: pittura, scultura, opere musive, architettura. Cosa vedi intorno a questa enorme eredità?
«Vedo lo scadimento dell’arte. I giovani non usano più le mani, pensano di esprimere creatività attraverso il cellulare. Da tempo cerco giovani che possano restaurare i nostri murales, ma non trovo nessuno. La manualità sta sparendo. Nik era un genio, sapeva fare tutto con le sue mani. Lo dico agli studenti che vengono da noi. Ho girato la Calabria in lungo e in largo, nei piccoli borghi, c’erano artigiani bravissimi, che sapevano fare tutto, con le mani e con la fantasia, dopo aver appreso il mestiere dai loro nonni, dai loro bisnonni.
Poi dalla Calabria sono andati a fare gli schiavi alla Fiat, sono spariti tutti. Ai giovani dico di riprendere a inventare, a creare, perché i visitatori oggi cercano luoghi capaci di esprimere autenticità. Ragazzi, non andate all’università, non si impara più nulla, riprendete i mestieri. La Calabria è una terra meravigliosa, piena di verde. Con MuSaBa abbiamo dimostrato che il verde è importante, essenziale nella vita e nell’arte».
Cosa pensa di fare per il futuro di MuSaBa?
«Non lo so. Mi propongono di farlo diventare museo regionale, ma così verrebbe strozzato da una burocrazia assurda. Tutti i musei regionali sono chiusi, non ha senso. Le cose pubbliche non funzionano. Il futuro di MuSaBa è un dilemma. Al momento non saprei aggiungere altro».
Secondo lei, qual è il messaggio principale che MuSaBa trasmette ai visitatori?
«Una visione positiva della Calabria, la genialità di Nik, l’aver fatto tutto da solo. Negli ultimi 15 anni ha lavorato ai mosaici tridimensionali, con colori fantastici, complementari, raffiguranti scene del Vecchio e Nuovo Testamento. Seduto a tagliare le piastrelle, tutti giorni, con una grande pazienza. Un’opera unica. Come Il sogno di Giacobbe, la Cappella Sistina del Sud, e tutto il resto. Tutte opere incredibili. MuSaBa non è il solito museo, ma arte e architettura insieme a fichi d’india, agavi, la natura».
Pensa mai di andare via, di “sparire”, come nel gioco del 1 aprile scorso? Vorrebbe tornare nella sua terra?
«No, no, voglio restare ed essere sepolta qui».

