di Maria Teresa D’Agostino – «Fu un matrimonio tra sentimento e convenienza. Si sono incontrati per caso ma le due casate avevano già l’intenzione di combinare. Rappresentavano il connubio perfetto, Edda e Galeazzo. Lungo gli anni il rapporto si inasprisce, per i tradimenti reciproci, per le divergenze sulle vedute politiche, per i caratteri forti. Al culmine dei contrasti, Galeazzo si trova al bivio se lasciarla – e perdere i privilegi, su tutti la continuità al Duce nella guida della nazione – o se restarci assieme e salvare la virilità offuscata da Edda con le scappatelle, spacciando la coppia aperta, la libertà che si sono concessi in pieno accordo, possibile per loro che volano in cieli talmente alti da non essere intaccati da chiacchiere e maldicenze. Galeazzo sceglie la seconda via. Nel raccontare il rapporto tra i due ho cercato di essere aderente il più possibile alla realtà».

Mimmo Gangemi, narratore versatile e prolifico, capace di trasformare in pagine avvincenti di romanzo qualunque vicenda tocchi le molteplici corde del suo talento, è autore di “A me la gloria – Edda e Galeazzo: due destini, un amore, la guerra che sconvolge il mondo” (Solferino libri). Un libro che nasce dalla penna sempre raffinata dello scrittore di Palmi e sorprende per l’umana rappresentazione che scorre tra le pagine, portando il lettore dentro gli anni della seconda guerra mondiale, nelle stanze del potere e nella parabola del declino fascista, dall’esaltazione alla tragica fine. Tutto attraverso Edda Mussolini, figlia del Duce, e Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri in quegli anni.


Cosa l’ha colpita di più della loro storia?
«Mi ha colpito l’amore di Edda che compare potente negli ultimi mesi di vita di Galeazzo, quando lei rischia la vita sfidando Hitler e si inimica per sempre con il padre duce pur di salvarlo dalla fucilazione per alto tradimento. Per soccorrerlo, arriva a farsi amica della bella spia tedesca messa al fianco del marito per carpirgli i segreti dei diari che Ciano stila da quando è Ministro degli Esteri. Questo, sebbene la sappia innamorata di Galeazzo e magari in una tresca con lui. Lo stesso Galeazzo, vedendo tanta caparbia ostinazione, si scopre un sentimento gramigna, che non pensava di avere più. La relazione ha resistito come brace che ancora arde sotto la cenere, nonostante gli anni disastrosi trascorsi assieme – tranne i primi tre, quelli in Cina quando Galeazzo era Console a Shangai, anni che furono, se non felici, soddisfacenti, da resuscitare il fuoco appena gli scossoni della Storia si accaniscono su Galeazzo».


Ciano è una figura storica particolare, che vive al fianco del Duce gli anni del fascismo al potere e che, poi, arriva a rinnegare tutto con il drammatico voto contro Mussolini, che ne determinò la caduta, per finire fucilato come traditore. Che lettura possiamo darne?
«Il personaggio mi ha sempre incuriosito e appassionato, per quello che ha rappresentato in anni terribili per la nazione. È uno che, suo malgrado, ha fatto la storia. È uno che, partendo da basi culturali e umane solide, si è lasciato fuorviare dall’ambizione, dall’essersi ritenuto il predestinato, la naturale successione al Duce, coinvolgendosi da protagonista nella barbarie del suo tempo. Si sottomise alle logiche di un partito e di un regime che non sentiva suoi, che lo disturbavano.

Non era fascista, ma conservatore e monarchico, eppure si tuffò nelle asperità del fascismo; aborriva la violenza e lo squadrismo, eppure se ne macchiò per assecondare le aspirazioni, per decorarsi del pregio di essere stato combattente, quando vigeva che solo chi aveva offerto il petto alla battaglia – nella Grande Guerra, nella marcia su Roma, nello squadrismo – potesse aspirare a crescere nel Partito; idolatrava Mussolini e in seguito ne fu profondamente deluso fino a disprezzarlo, eppure non smise di scodinzolargli servile, di assecondarne le follie disastrose; non condivideva l’alleanza con la Germania, le leggi fascistissime e quelle sulla difesa della razza, l’entrata in guerra al fianco della stessa Germania, eppure le accolse, le votò e le fece sue. Dall’altra parte ci sono i ripetuti tentativi di giungere a una pace separata con gli Alleati quando già la guerra volgeva al peggio, con lo sbarco in Sicilia.

Ci metterei anche lo scatto d’orgoglio di firmare il documento Grandi per il Gran Consiglio, quando i “rivoltosi” volevano esentarlo in quanto genero di Mussolini, se non avessi il dubbio che si sia trattato piuttosto di un suo calcolo sbagliato, per essersi convinto di poter sopravvivere politicamente al Duce, e magari di succedergli in un assetto più democratico».


O magari un gesto disperato per salvare se stesso?
«Non credo. Piuttosto, o gli era riaffiorato il rigetto provato per il fascismo, con le violenze e le nefandezze sparse nel ventennio, o cercava una via d’uscita e il male minore per la nazione o credeva che aver contribuito a far cadere il fascismo sarebbe stato un merito tale da consentirgli di restare in piedi pure politicamente. Più facilmente, un po’ di tutt’e tre, con l’ultima più incidente».


Quanta invenzione c’è nel suo romanzo?
«La fedeltà agli eventi storici mi è parsa doverosa ed essenziale. E ha richiesto molto studio e molta applicazione, una lettura approfondita attingendo alla vastissima produzione letteraria, sia sfornata da destra che da sinistra. Mi sono concentrato particolarmente sui diari di Ciano stilati dacché fu nominato Ministro degli Esteri, affrontandoli però con l’accortezza di non prendere tutto per oro colato, perché talvolta indirizzati su una verità posticcia pur di non incorrere negli strali della Storia. Certo, poi si tratta di un romanzo. Un romanzo cammina con la fantasia. E la fantasia è libertà. Questo ha fatto sì che, nel rispetto degli accadimenti, io abbia dato all’uomo Ciano vita e pensieri costruiti dentro di me dopo essermi documentato.

Nell’attingere ai testi in circolazione, non ero in cerca di segreti, non c’era la volontà di stupire svelando episodi inediti su Ciano. Non appartiene al narratore, non a me almeno. Poi, si è ormai scoperchiato tutto, dal punto di vista storico di sicuro. Riguardo la sfera privata – i rapporti con Edda, le amanti, la vita lussuriosa e i vizi, i traccheggi, le ambizioni – ho dato sfogo alla fantasia, ci ho ricamato su facendo affidamento sul livello di conoscenza e di intimità raggiunto con il “mio” Ciano, con l’accortezza di appendere il racconto sempre a qualcosa di solido e di concreto, o quantomeno di vociferato con buone possibilità d’essere vero. Sono insomma sempre partito da presupposti reali o realistici».


Come pensa si ponga il lettore davanti a un personaggio tanto controverso?
«Il fascismo non esiste più. È un’invenzione e un errore della politica del dopoguerra. Si fossero ignorate per tempo certe risicate frange estremiste, e violente, invece di dar loro importanza, di offrirle alla cronaca, in Italia da decenni non parleremmo più di fascismo. Detto questo, non mi attendo reazioni particolari, Ciano è il passato, appartiene a un’epoca che non può ripetersi e, comunque, non incarna né il fascismo né il contrario, ha perso su entrambi i fronti, con uno scatto di dignità e di fierezza finali che un po’ ne addolciscono la memoria, o almeno non lo sprofondano del tutto negli abissi della dannazione».


La sua rilettura di Ciano può suonare come una forma di riabilitazione politica o morale?
«No. Io non mi schiero. Osservo, almeno spero, dall’esterno. Sta al lettore decidere se l’ho umanizzato. Sta al lettore appassionarsi o meno a lui. Un romanzo e il suo autore sono estranei alle simpatie che possono scatenare i personaggi. Nella mia trilogia del giudice meschino, don Mico Rota, capobastone della ’ndrangheta, smuoveva il sorriso, induceva a parteggiare per lui. Ne “Il padrino” mi pare che succedesse pure. E allora…?»
Dopo romanzi che muovono da fatti reali, come “La Signora di Ellis Island”, indimenticabile saga sull’emigrazione nel secolo scorso, o “L’atomo inquieto”, che indaga sulla scomparsa misteriosa di Ettore Maiorana, quali personaggi possiamo aspettarci nelle sue prossime opere?
Ho un paio di idee, delle suggestioni che vorrebbero farsi seguire, ma è presto, ne riparleremo più avanti».