«Abbiamo visione, ma non quel personale e quelle risorse che per legge ci spetterebbero». È con queste parole che Giuseppe Ranuccio, sindaco di Palmi e consigliere metropolitano con delega al Turismo, descrive una delle contraddizioni più profonde della Calabria istituzionale: la Città Metropolitana è chiamata a progettare, coordinare, valorizzare, ma non dispone dell’attribuzione formale delle funzioni e delle risorse che per legge le spetterebbero.

Un cortocircuito amministrativo che dura da anni, e che oggi esplode in tutta la sua evidenza. I territori lo vivono ogni giorno: borghi isolati, servizi carenti, infrastrutture inesistenti, come dimostrano le emergenze che continuano a colpire l’area grecanica, tra incendi, viabilità assente e crisi idriche croniche.

Il problema è più profondo e parte, appunto, da questa ormai tanto chiacchierata e discussa mancata attribuzione delle funzioni da parte della Regione Calabria, che dovrebbe per legge trasferire alla Città Metropolitana competenze fondamentali come turismo, ambiente, viabilità, programmazione economica. Ad oggi si registra solo uno stallo. E mentre la Regione si impantana, l’ente metropolitano prova a muoversi da solo, attingendo alle proprie casse, costruendo piani e strategie, cercando di non rassegnarsi all’immobilismo.

Il nodo centrale è tutto lì, nella parola “attribuzione”. Perché il punto non è solo la distanza tra le istituzioni e i territori, ma anche quella tra gli enti stessi. La Città Metropolitana di Reggio Calabria opera da anni senza aver ricevuto formalmente dalla Regione le funzioni previste dalla legge. I limiti strutturali restano evidenti. E nei territori, il divario tra piani e risultati si allarga.

Le comunità continuano a fare i conti con strade impraticabili, depuratori inefficienti, servizi essenziali compromessi. E il rischio è che, nel disordine istituzionale, a pagare siano sempre gli stessi: i luoghi già più fragili.

Il piano turistico metropolitano fotografa l’ambizione, ma rivela anche il paradosso. Borghi, sentieri, siti archeologici, paesaggi e tradizioni: l’intero impianto del documento appena approvato dalla Città Metropolitana punta a costruire un’identità condivisa, capace di rendere attrattivo l’intero territorio reggino.

«Il nostro obiettivo – spiega Ranuccio – è valorizzare tutto ciò che ci rende unici, dalla costa ai centri interni, mettendo in rete operatori, eventi, risorse materiali e immateriali». È una visione coerente, costruita con pazienza, a partire dai limiti. Ma è anche una strategia che si misura ogni giorno con una realtà ancora spietata.

Perché mentre il piano definisce i cammini, le strade vere restano impraticabili. Mentre si promuove il paesaggio, la depurazione non è garantita. Mentre si cerca di attrarre presenze, mancano ancora i servizi minimi nei paesi dell’interno. L’idea di turismo come leva di sviluppo funziona solo se sostenuta da un’infrastruttura reale. Altrimenti, resta sospesa. «Abbiamo scelto di intervenire comunque, anche senza funzioni e risorse trasferite dalla Regione, attingendo al nostro bilancio», aggiunge Ranuccio. Ma in molti territori, quella spinta non si vede ancora. E il rischio concreto è che, mentre si programma la promozione, interi luoghi continuino a vivere in condizioni che allontanano sia i turisti che i residenti.

Uno dei nodi più critici, e più evidenti, resta quello della depurazione. È un tema che attraversa trasversalmente il discorso sul turismo, sull’ambiente, sulla salute pubblica. E che, in Calabria, assume contorni drammatici. «Se pensiamo che circa la metà dei comuni dell’area tirrenica non è collettata – afferma Ranuccio – la domanda è semplice: dove vanno a finire i reflui?». Un interrogativo che resta spesso senza risposta, se non nelle ricorrenti infrazioni europee e nei divieti di balneazione.

Anche in questo caso, il problema è duplice: da una parte i singoli comuni, che si muovono in ordine sparso e spesso con risorse limitate; dall’altra la Regione, che detiene la competenza ma non garantisce interventi strutturali sufficienti. E intanto, i progetti si fermano, le bandiere blu restano lontane, l’idea stessa di qualità ambientale diventa irrilevante. È un corto circuito che vanifica ogni sforzo di promozione turistica. Perché non si può parlare di attrattività senza parlare prima di accessibilità, igiene, affidabilità dei servizi. E in molte aree costiere come nell’entroterra, non sono garantiti nemmeno i requisiti essenziali.

L’assenza di funzioni e investimenti strutturali non è solo una questione amministrativa. È un nodo politico, che oggi si intreccia con la crisi apertasi in Regione Calabria.

Le dimissioni annunciate del presidente Occhiuto, e che si concretizzeranno ad inizio settimana portandoci ad elezioni entro il prossimo autunno, hanno accentuato una paralisi che da anni impedisce il trasferimento delle competenze spettanti agli enti intermedi, in primis alla Città Metropolitana. Un cortocircuito che si riflette nei territori, dove le comunità chiedono servizi essenziali e infrastrutture minime, mentre gli enti restano bloccati tra rimpalli istituzionali e responsabilità non esercitate.

«Da decenni attendiamo che la Regione Calabria trasferisca all’Ente Città Metropolitana queste benedette e spettanti funzioni» afferma Ranuccio, ricordando come l’ente sia costretto ad operare in settori delicatissimi, dal turismo all’ambiente, senza il personale e le risorse che per legge gli spetterebbero. E intanto, nei territori, si accumulano ritardi, inefficienze e disillusione. Nessun ente può reggere da solo un carico che spetterebbe a più livelli istituzionali.

Senza una Regione operativa, senza un governo centrale che riconosca le priorità territoriali, ogni progetto rischia di restare sulla carta. E nei borghi, la distanza tra le parole e la realtà continua ad allungarsi.