Il vento che passa tra le bandiere amaranto, i cori che rimbombano tra l’erba del campo da calcio del Sant’Agata, gli occhi lucidi di chi ha visto mille trasferte e mille chilometri d’asfalto. La Curva Sud si è ritrovata lì, accanto alla squadra, per una carica che non è solo tifo: è sangue, appartenenza, mentalità.

«Domani per noi è tutto — sostiene uno dei portavoce della Curva —. Io ero bambino quando si parlava del derby con il Messina. Era la partita. Quella che sentivamo dentro». E poi, la voce si fa più dura: «Costi quel che costi, dobbiamo vincere. Dovete mordere, lottare, come lo faremmo noi. Perché noi domani non ci saremo fisicamente, ma ci saremo lo stesso. Con la testa, col cuore, con tutto l’amore che abbiamo per questa maglia».

Un divieto amaro e forse forzato, si sente dalla tifoseria. Dopo dieci anni di attesa, dopo anni di partite vissute tra controlli serrati e tifoserie scortate prima e dopo la partita, suona strano ad oggi un divieto così duro e definitivo. Soprattutto per chi vive il tifo come una fede, come una ragione di vita.

Ma il divieto non ferma la fede. I tifosi reggini, esclusi dal settore ospiti del “Franco Scoglio”, hanno scelto di essere comunque presenti — a modo loro. «Se farete un gol, baciate il settore ospiti. È come se fossimo lì. Noi, la Sud, siamo sempre lì». Le parole si mescolano ai cori, ai fumogeni, al battito dei tamburi. «Voglio vedere undici leoni — si sente gridare — anzi no, undici ultras! Quelli che non mollano mai!».

E poi l’orgoglio, quello vero, che non conosce categorie né confini: «Abbiamo lasciato famiglie, figli, lavoro per seguire questa maglia. Perché la Reggina non è solo calcio. È la città intera. È Reggio che non molla, che si rialza, che unisce».

Domani, a Messina, gli spalti amaranto resteranno vuoti. Ma in campo, in ogni urlo, in ogni respiro, ci sarà la voce di una curva intera. Una città che aspetta da dieci anni questo derby, e che oggi più che mai vuole solo una cosa: vincere. Costi quel che costi.