L’imprenditore reggino e club manager analizza il difficilissimo momento amaranto tra risultati deludenti e contestazione crescente, escludendo alibi: «La società non fa mancare nulla». E sulle voci di un cambio di proprietà è lapidario: «Sono sciocchezze»
Tutti gli articoli di Reggina
PHOTO
Un momento complicato, forse il più difficile dall’inizio della gestione Ballarino. La Reggina 1914 vive una crisi profonda, inattesa e dolorosa per una città che aveva iniziato la stagione convinta di ritrovare serenità e ambizioni. A parlare è Antonio Cormaci, imprenditore reggino e club manager amaranto, chiamato a gestire l’organizzazione quotidiana del club e oggi voce diretta per fare chiarezza.
«Sono entrato nella Reggina perché persone per bene della nostra città mi hanno chiesto di dare una mano – spiega –. Volevamo unire le forze per sostenere la società e provare a riportare la squadra dove merita. Per me il calcio è casa: ho giocato da ragazzino, ho vissuto gli spogliatoi. Quando ami questo mondo, certe chiamate non le rifiuti».
Cormaci chiarisce subito un punto: la Reggina è una società che sta rispettando i propri impegni. «La società non fa mancare nulla: stipendi regolari per giocatori, staff e personale. Pagamenti puntuali, centro sportivo, trasferte, tutto. Il presidente Ballarino ha investito cifre importanti, ed è il primo a soffrire. Se fossi al suo posto e dopo tre anni non vedessi il mio progetto realizzarsi, sarei distrutto».
Eppure la squadra non riesce a trovare identità, spirito, risultati. «La Reggina non sta incarnando i valori della città: la passione, il sacrificio, il sudare la maglia. Alla dodicesima giornata non si può spiegare una squadra che non lotta fino all’ultimo. I tifosi hanno ragione, totalmente. Hanno ragione a contestare, a lamentarsi, a chiedere rispetto».
La piazza però, sottolinea Cormaci, ha dimostrato maturità. «Quest’anno abbiamo avuto una media di 4.500-4.800 spettatori. Sono numeri enormi per la categoria e per la situazione tecnica. Reggio Calabria, con tutte le difficoltà, sta dando lezioni di stile e correttezza. Nessuna scena fuori controllo, nessun clima ostile. Solo delusione e amore».
Sulle voci di malumore interno o di calciatori “svogliati”, il club manager è netto: «Gli stipendi sono alti. Non c’è nessun motivo economico per cui un calciatore non debba dare il massimo. Il problema è un altro: manca l’ingranaggio giusto, quell’unità e quella spensieratezza che fanno la differenza».
E racconta un episodio significativo: «Ho conosciuto i dirigenti dell’Athletic Palermo: dieci amici che vivono il calcio con leggerezza, un gruppo unito, sorridente. Quella serenità si vedeva in campo. La Reggina deve tornare così: squadra coesa, che si diverte, che lotta con gioia. I nostri giocatori hanno qualità tecniche superiori alla media. Se sono richiesti dalle prime in classifica, un motivo c’è».
Poi la questione proprietà. «Sono sciocchezze. Nessuno di noi imprenditori reggini vuole acquistare la Reggina. Siamo sponsor, sosteniamo la società e continueremo a farlo. Se un giorno arrivasse un nuovo proprietario serio, lo sosterremmo allo stesso modo. Ma oggi non esiste nessuna trattativa. E poi: chi prenderebbe una squadra in corsa, in difficoltà, a novembre? Impossibile».
Altra questione: la pressione mediatica. «La critica è sacrosanta. La contestazione è giusta. Ma chi cerca il negativo per fare rumore fa solo danni. Non alla società, ma ai giocatori e ai tifosi. La Reggina non deve diventare uno strumento per creare disordine».
Poi l’appello ai giocatori: «Serve ritrovare la gioia, la voglia di combattere e di dimostrare quanto valgono. Ci sono ragazzi reggini che hanno rifiutato proposte più ricche per restare qui. Devono essere loro a prendere per mano il gruppo. Si esce da questa situazione solo con il lavoro quotidiano. Non so se si potrà vincere: il calcio è strano. Ma bisogna reagire ora. A fine anno, ognuno si assumerà le proprie responsabilità».
In un momento così complesso, la presenza di un reggino doc come Antonio Cormaci all’interno del gruppo amaranto assume un valore che va oltre i ruoli formali. Conosce la città, ne vive gli umori, sa cosa significa portare addosso certi colori. Oggi più che mai, una figura radicata nel territorio può diventare il collante capace di tenere insieme società, squadra e tifoseria: ricostruire spirito, rimettere ordine, riportare tutti dalla stessa parte.
Allo stesso tempo, una considerazione necessaria. La critica è legittima, spesso inevitabile. Ma l’accanimento non serve. Il calcio – e lo sport in generale – esiste per unire, per regalare gioia a chi lo segue e a chi lo pratica. In campo ci sono ragazzi, alcuni giovanissimi, che vivono emozioni e pressione. Che, se messi costantemente sotto attacco, rischiano di smarrirsi ancora di più.
È giusto pretendere. È giusto arrabbiarsi. È giusto chiedere rispetto per una piazza che merita molto di più. Ma non bisogna mai sconfinare nell’odio. Reggio Calabria ha dimostrato, nei fatti, di essere migliore di questo. Continuare su questa strada è l’unico modo per permettere alla Reggina di ritrovarsi. E forse, per ritrovare tutti il senso più vero di questa maglia.

