di Lorenzo Vazzana – Nel cuore aspro della Calabria, tra le dita di pietra di Pentedattilo, un campanile sfida il tempo. Al tramonto, la sua sagoma si staglia contro il cielo infuocato, ultimo custode di un borgo sospeso tra storia e leggenda.

Pentedattilo è un luogo che non si dimentica. Un paese che sembra scolpito nel vento, abbracciato da una montagna dalla forma di una mano gigante, testimone silenziosa di un passato intriso di misteri. Tra le sue viuzze, un tempo abbandonate ma che oggi si stanno risvegliando piano piano, il campanile della chiesa si innalza solitario, come un eco della vita che un tempo riempiva queste strade.

Le sue tegole colorate riflettono gli ultimi raggi di sole, mentre l’ombra della rupe lo avvolge lentamente, come a volerlo custodire nel grembo della montagna. Ogni sera, il tramonto trasforma il cielo in un quadro di fuoco e oro, e il campanile diventa il punto di confine tra il sacro e il profano, tra la terra e l’eternità.

In cima al suo pinnacolo, la croce veglia sul paesaggio selvaggio che si apre fino al mare. È l’ultima voce di un borgo che non ha mai smesso di esistere, perché chiunque passi da qui lascia un pezzo di sé tra queste pietre.