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di Lorenzo Vazzana – Le mani del direttore d’orchestra si sollevano, l’attimo prima che il suono prenda forma. Poi il gesto si compie, e le note si alzano nell’aria come un respiro profondo, riempiendo lo spazio, accarezzando le pareti antiche della chiesa. Ogni strumento risponde, ogni suono trova il suo posto in un’armonia più grande, in una storia che non si legge, ma si ascolta.
C’è chi suona e chi ascolta, chi applaude e chi chiude gli occhi per lasciare che la musica gli attraversi l’anima. Per qualcuno è un riconoscimento, per altri una vita intera racchiusa in una melodia. È il suono del talento, della dedizione, di chi ha dedicato i suoi giorni alle note, facendone un linguaggio universale, un’eredità che resta.
Il tempo si ferma in quel momento perfetto, mentre il pubblico trattiene il fiato. Poi l’ultimo accordo, un istante di silenzio denso di significato. E infine, gli applausi. La musica non si vede, eppure è ovunque. È nei gesti, negli sguardi, nel battito delle mani. E in fondo, anche quando le luci si spengono, continua a vivere nel cuore di chi l’ha ascoltata.