«Ha negato libertà democratiche ma non sarebbe aderente alla verità storica negare che il Fascismo abbia anche fatto delle cose positive. Oggi si teme la sua reviviscenza ma basta volgere lo sguardo alle guerre che imperversano, per comprendere che i pericoli concreti e attuali sono altri».

Lo storico Giordano Bruno Guerri, autore del libro “Benito. Storia di un italiano” presentato dal direttore di LaC News 24 Franco Laratta, nell’ambito della tappa del Premio Letterario Caccuri a Bova, propone argomenti che, in questo tormentato frangente storico, aprono a una riflessione più ampia.

Seppure lo stesso Mussolini abbia trascinato l’Italia in guerra, ritenendo che quella fosse la via per dare al popolo la pace, la strategia di portare la pace dopo la distruzione è tanto più antica quanto ancora tragicamente attuale.

Il deserto e la Pace

«Fanno il deserto e lo chiamano pace», scriveva Tacito riportando il discorso pronunciato dal capo britannico Calgaco contro l’espansionismo romano, criticando l’imperialismo e la violenza che generano solo distruzione e deserto.

Deserto come le intere aree della striscia di Gaza interamente rase al suolo, come la coscienza che diserta sé stessa tollerando 18 mila bambini uccisi, secondo l’Unicef, dal 7 ottobre 2023 ad oggi.

(Quasi) deserti come i centri migranti in Albania, dove “parcheggiare” persone in fuga da altre guerre, violenza e miseria che il Governo ha deciso di non accogliere.

«Fanno il deserto e lo chiamano pace». Lo chiamano soltanto perché la pace di queste nuove guerre è ancora lontana e perché resta da capire che pace mai sia dopo morte e distruzione.

Una pace lontana

Una lontananza che grida con lo strazio degli ostaggi e di chi li aspetta, dei civili colpiti e uccisi mentre sono in fila per sopravvivere. Una lontananza che si dilata nelle parole di Hamas che non cede senza uno Stato della Palestina da condurre chissà a quale altra deriva dell’umanità. E ancora si dipana anche nelle parole altrettanto perentorie del ministro degli Esteri israeliano, Gideon Saar, che dalle colonne del Corsera tuona «Se esistesse la Palestina, sarebbe lo stato di Hamas». Un affondo all’identità del popolo palestinese che adesso è fin troppo facile e “utile” associare in toto ad Hamas.

A un passo e poi mai raggiunta è anche la tregua in Ucraina. Neppure la mediazione dell’amico, forse nemico, forse solo opportunista, Trump, fa desistere Putin dal suo disegno arrogante e sanguinario di espansione.

L’apocalisse oggi

E dunque l’apocalisse resta all’orizzonte più che nel passato. Aleggia nella morte che continua essere seminata tra gli innocenti, tra gli inermi, tra chi nessuna guerra ha scelto e ha voluto. Aleggia nella propaganda mascherata da informazione, nelle minacce nucleari e nei droni e nei mezzi tecnologici messi al servizio della guerra piuttosto che della pace.

Tra i pericoli di cui occuparsi oggi anche l’indifferenza deliberata e l’autodifesa da mali insostenibili in un’epoca in cui le immagini viaggiano veloci come la storia, nutrendo troppo spesso più la fame di superficiali distrazioni e futili intrattenimenti che la sete di profonda conoscenza e autentica comprensione.

Nuove frontiere di disumanità


Una storia che può permettersi di considerare il Fascismo come passato, come un conto ancora aperto ed esperienza da non ripetere, perché propone già nuovi pericoli insidiosi e opprimenti, nuove guerre e nuove, seppure inimmaginabili dopo quanto già dobbiamo ricordare e testimoniare, frontiere di disumanità.

«Ama il prossimo tuo come te stesso» è un comandamento che ha fallito. Nuova linfa, nova speranza, come auspicato da monsignor Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Accademia di Teologia, potranno sgorgare incarnando piuttosto «Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi»?

Una pace dopo la distruzione, dunque, che pace è? È soltanto l’unica possibile quando si tollera che le guerre inizino e imperversino. Un circolo vizioso di cui, sin dall’inizio dei tempi, siamo ostaggio.