Questa città vivrà nonostante i reggini. Nonostante la memoria corta e ad intermittenza. Nonostante l’indolenza, di noi tutti, difronte alla sua decadenza morale e culturale. Il 53esimo anniversario della Rivolta, partita formalmente il 14 luglio del 1970 e durata fino a febbraio del 1971, ce lo dimostra. In tutta la sua sconvolgente crudezza. Colpevolmente “dimenticato” da gran parte dei reggini.
È ora di dire basta alle ricostruzioni di parte. Di qualsiasi parte. Se tre anni fa celebravamo i 50 anni della prima e più grande rivolta popolare del secondo dopoguerra, con qualche manifestazione (sempre poco a nostro avviso), non si capisce perché anno dopo anno la si vuole dimenticare. Trattarla come un evento di secondo piano. O addirittura cancellarla dal calendario delle ricorrenze di questa città.

Ogni reggino, sin da piccolo, sente parlare di questa sommossa popolare, dei carri armati in città, dei morti lasciati per terra, della crudezza e della violenza della risposta dello Stato, e della “resistenza” di un popolo ferito, che si è provato a squalificare identificandolo come un popolo stumentalizzato, quando non eversivo. Ogni reggino, o quasi, può contare un familiare che ha (ri)costruito le barricate ogni notte, che faceva la staffetta, che ha partecipato a quel movimento popolare. All’interno del quale non si contano le donne reggine che hanno messo cuore, faccia e anima nella protesta.

La genuinità della Rivolta va raccontata. Va spiegata. Sempre. E va spiegato perché ancora oggi paghiamo lo scotto di esserci opposti ai disegni del Palazzo. Va detto perché si è deciso di non piegare la testa. Va spiegato perché lo Stato ha preso in giro una intera provincia con promesse disattese. Questa è storia. Non c’è più spazio per le revisioni o i tentativi di confinare nell’oblio una pagina di storia della città che, per carità, si può condividere o meno, criticare o esaltare, ma sempre storia è. E se siamo noi stessi a negarlo quale futuro potrà avere una città che dimentica il suo passato.
Non può bastare un fascio di fiori istituzionale o la commemorazione impegnata di qualche associazione, a cui va detto comunque grazie per la non “dimenticanza”. Perché, lo ribadiamo, la storia è storia e non potrà mai essere la storia di una parte sola.

Un gigante come Italo Falcomatà nell’anniversario dei trent’anni celebrò l’evento a Palazzo San Giorgio. Era il 14 luglio del 2000. A fargli compagnia c’era Mauro Nobilia, un sindacalista già segretario nazionale della Cisnal, e l’antropologo Luigi Lombardo Satriani. Ce lo ricorda oggi anche lo storico e docente universitario Pasquale Amato che alla Rivolta ha anche dedicato un lavoro personale. Associandoci una proposta, quella di identificare la nascita della città, la più antica della Calabria, proprio nel luglio del 730 a.C.
Una bella proposta – scrive Amato – «accolta benissimo dai tanti concittadini che sinceramente amano Reggio. Purtroppo fu osteggiata dietro le quinte da alcuni in preda a quel “vizio” tante volte stigmatizzato nei suoi versi dal grande poeta reggino Nicola Giunta. E quindi fu relegata nell’oblio facendola decadere. Resta, ne sono convinto, un’idea vincente e positiva, anche per ridestare l’orgoglio dei reggini, spesso sostituito dalla diffidenza e dall’indifferenza».
Reggio sopravviverà, nonostante tutto, e nonostante Reggio.