Tutti gli articoli di L'editoriale
PHOTO
Reggio Calabria vive uno dei peggiori periodi della sua storia, ma il suo ceto politico, la sua presunta classe dirigente, non se ne occupa e preferisce il piccolo cabotaggio, i risibili posizionamenti personali, gli interessi spiccioli e perfino meschini, in un periodo come questo.
Una città piegata dalla recessione, dalla disoccupazione, dalla malavita organizzata, dagli effetti del Covid e ora da quelli della crisi ucraina, avrebbe bisogno di un Governo di salvezza cittadino, capace di tenere insieme tutte le forze politiche nel segno della responsabilità e con l’obiettivo di fare uscire Reggio dal pantano in cui si trova.
Invece, niente. I politic(ant)i dello Stretto sembrano interessati solo a incassare i miseri dividendi elettoral-clientelari che derivano dai ripetuti fallimenti della parte avversa.
Lo spettacolo messo in piedi in questi ultimi giorni dal centrosinistra al potere è, in questo senso, mortificante. Consiglieri di maggioranza e personaggi in cerca di autore che – mentre attorno tutto crolla – si accapigliano e danno vita a crisi lunari, da cui emerge solo il loro affannarsi per ottenere qualche delega, uno strapuntino, una poltroncina in più.
È un teatrino tanto più deprecabile quanto animato da chi si riscopre leone proprio nel momento di massima debolezza del sindaco sospeso: checché se ne dica, Giuseppe Falcomatà, oggi, ha le mani legate e spera che, in un modo o nell’altro, la legge Severino finisca presto in soffitta. Fino ad allora, o fino al termine della sua sospensione, avrà zero margini di manovra e non potrà certo dimettersi mandando a casa tutto il circo. Se lo facesse, segherebbe il ramo su sui è seduto, non avrebbe più alcuna possibilità di riscatto e nemmeno una chance per tentare il salto in Parlamento (a parere di molti il suo obiettivo a medio termine).
Non è esente da colpe neanche il Pd, da mesi impegnato in un congresso fratricida del tutto avulso dalla città e dai suoi problemi. Un altro segno della diversità dem: si guardano l’ombelico mentre intorno tutto va a catafascio.
Non è edificante, tutt’altro, neppure l’azione politica di quel che resta del centrodestra locale, rappresentato da giovani rampanti piuttosto abili nelle schermaglie dialettiche a mezzo stampa, ma che scontano un vuoto di proposte a dir poco sconcertante. Così come sono imbarazzanti i loro solerti e puntuali osanna in occasione degli annunci – celebrati come fossero risultati – della Giunta Occhiuto, oppure quando c’è da spacciare come successi sensazionali conquiste minime, come i due voli al giorno sulla tratta Reggio-Milano.
In questo bailamme quotidiano che prelude al disastro, nessuno sa dire quando verranno riasfaltate strade degne di un villaggio africano attraversato dalla guerra o quando le periferie torneranno a essere luoghi decorosi; nessuno sa spiegare cosa succederà la prossima estate, quando, con ogni probabilità, i rifiuti torneranno ad accumularsi per le strade; nessuno sa prevedere l’esito dei progetti per lo sblocco dei fondi del Pnrr, ammesso che esistano; nessuno sa ipotizzare cosa avverrà quando la Regione pretenderà il saldo dei debiti del Comune; nessuno sa qual è il piano per arrestare lo spopolamento certificato giusto pochi giorni fa dall’Istat; nessuno sa immaginare un rilancio dell’economia cittadina, la ripartenza delle imprese, confezionare una speranza per i produttori, gli artigiani, le partite iva, costruire un futuro per i giovani, per l’aeroporto dello Stretto, per l’ospedale metropolitano. Eccetera eccetera eccetera.
Si rischia il qualunquismo, a cimentarsi in questi elenchi. La situazione è di certo più complessa di così e ricca di esempi positivi, di modelli da seguire. Reggio è, oggi più che mai, città dolente dolentissima, ma è abituata a resistere e resiste ancora, malgrado tutto.
Il punto è che dovrà farlo chissà per quanto altro tempo. Perché da questo ceto politico, da questa classe dirigente autoreferenziale, bisogna aspettarsi poco, forse niente.