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Saline Joniche, il relitto della Laura C affondata il 3 luglio 1941: inaccessibile e meraviglioso scrigno di biodiversità – FOTO

Diretto a rifornire le truppe italiane in Libia, il piroscafo fu silurato da un sommergibile inglese. Il figlio del palombaro inviato dalla Marina per salvare il carico, Daniele Todaro: «Mio padre quantificò oltre 3 mila tonnellate di tritolo nella stiva»

Saline Joniche, il relitto della Laura C affondata il 3 luglio 1941: inaccessibile e meraviglioso scrigno di biodiversità – FOTO

(Foto Maurizio Marzolla associazione Y Cassiopea Underwater reporter di Reggio Calabria) – La storia e la suggestione. La guerra e la natura. La bellezza e il mistero. Ciò che si conosce, ciò che si ritiene sia accaduto e ciò che è stato ammirato da chi ha avuto l’opportunità avvicinarsi.

Su quest’altalena oscilla, pur essendo ormai da oltre 80 anni fermo sui fondali sabbiosi, sul confine meridionale dello Stretto di Messina, nello specchio d’acqua antistante Saline Joniche, frazione di Montebello Jonico nel reggino a non oltre 150 metri dalla costa. Si tratta del relitto della nave mercantile Laura C (secondo alcuni anche Laura Cosulich), affondata durante la Seconda guerra mondiale. Fu colpita da due siluri il 3 luglio 1941.

Un relitto di interesse storico divenuto una grande oasi naturale, un meraviglioso e prezioso scrigno di biodiversità. Nei decenni flora e fauna l’hanno abitata, plasmandone gli spazi e trasformandola in una meraviglia naturale dal grande potenziale non più esprimibile. Da oltre un decennio lo specchio d’acqua è interdetto all’accesso e il relitto non può essere avvicinato dai sub per motivi di sicurezza.

La fauna che danza e la flora che adorna

Foto di Maurizio Marzolla associazione Y Cassiopea Underwater reporter di Reggio Calabria

Grandi cernie tra le lamiere e tutte le strutture emerse della nave abitate da spugne e grandi spirografi, alghe e briozoi, anellidi, madrepore, con un brulicare di invertebrati, pesci come sciarrani, perchie e nuvole di anthias che danzano intorno al relitto costantemente. La natura si è fusa con esso. Particolarmente suggestivo è l’albero della nave. Esso si erge dal fondale. Dei quasi 50 metri di profondità si avvicina alla superficie del mare con i suoi quasi venti metri di altezza.

La guerra, i siluri e l’abbandono della nave

Il piroscafo Laura C, partito da Venezia nel giugno 1941, aveva fatto scalo a Taranto per unirsi alle imbarcazioni Mameli e Pugliola e raggiungere in gruppo il porto di Messina. Salpata dal porto peloritano per rifornire le truppe italiane in Africa, con destinazione Tripoli in Libia e con un carico di quasi 6mila tonnellate di provviste, vestiario e merce varia e anche ingenti quantità di tritolo e munizioni. Scortata dell’incrociatore ausiliario Arborea e della torpediniera Altair, mentre attraversava lo Ionio reggino viene avvistata a largo di Capo Spartivento dal sommergibile inglese Upholder. Al largo di Saline Ioniche, presso Capo dell’Armi poco prima di mezzogiorno che sferrò due siluri. Il timone andò in avaria e la nave fu abbandonata.

Un’azione di guerra che costò la vita di due marò Vittorio Panariello (Napoli 1917) e Angelo Duse (Venezia 1892). Altri quattro uomini furono dispersi Pietro Mosetti (Trieste 1889), Francesco Diritti (Paola 1911), Stefano Izzo (Torre del Greco 1903) , Edoardo Marcuzzi (Trieste 1906). Rimasero feriti Luigi Tarabocchia (Trieste 1893) e Pasquale Moscheni (Paola 1897).

Il tentativo di recupero e l’affondamento

La nave mercantile Laura C , quasi 130 metri di lunghezza e larga quasi 17 metri componente di una flotta sei gemelle Ida, Alberta, Clara, Teresa e Lucia, per le sue peculiarità era stata confiscata dalla Marina militare per gli scopi bellici.

Foto di Maurizio Marzolla associazione Y Cassiopea Underwater reporter di Reggio Calabria

Era utilizzata per trasportare merci destinate alle truppe italiane in Africa. In quell’ultima spedizione – comandante civile capitano Giuseppe Pirino, comandante militare Rodolfo Muntjan – trasportava un ingente carico di provviste (farina, zucchero, vino Chianti, birra, conserve, anche Campari soda in bottigliette), stoffe, macchine da cucire, biciclette (per i bersaglieri), profumi, inchiostro di china, coltelli, parti di ricambio per automezzi, medicinali, cavi per linee telefoniche, vestiario e anche di munizioni e tritolo.

Una stiva, dunque, appetibile per la criminalità mafiosa e che potrebbe – il condizionale è d’obbligo data l’assenza di una certezza ma solo di una probabilità – essere stato anche prelevato per essere impiegato in attentati e stragi degli ultimi trent’anni. È stato, pertanto, ritenuto necessario, rendere inaccessibile la stiva.

Foto di Maurizio Marzolla associazione Y Cassiopea Underwater reporter di Reggio Calabria

La nave, che si tentò di avvicinare a rimorchio alla costa della foce del torrente Molaro, per via della configurazione del fondale molto scosceso, nel giro di poche ore scivolò all’indietro affondando in poche ore. Le operazioni di recupero dell’ingente carico furono disposte subito, quindi durante la guerra. Oggi il relitto è rivolto con la prua verso terra, perpendicolare al profilo costiero, la poppa si trova a circa 50 metri di profondità. Non sono più visibili le stive di poppa cementificate per la presenza di tritolo e armi.

Il tritolo della stiva, la bonifica e la cementificazione

Con il coordinamento dell’allora prefetto Claudio Sammartino, d’intesa con l’allora procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, tra il settembre e l’ottobre del 2015 i subacquei del Comsubin della Marina Militare eseguirono la complessa operazione di rimozione del materiale esplosivo ancora accessibile e utilizzabile, tra cui munizioni e una quantità imprecisata di tritolo ancora in piena efficienza, e di messa in sicurezza delle stive del relitto.

L’intervento definitivo era stato programmato in sede di Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, le cui riunioni si erano svolte anche presso il ministero dell’Interno. Era stata posta l’attenzione sulla permanenza di ingenti quantitativi di tritolo dentro il relitto. Occorreva con urgenza intervenire anche sulla scorta di numerose operazioni in occasione delle quali, negli anni precedenti, le Forze dell’ordine avevano sequestrato ingenti quantitativi di esplosivo provenienti dalla nave. «I sub dei clan reggini si immergevano davanti alla spiaggia di Saline per prelevare il tritolo che poi serviva per portare a termine attentati e intimidazioni. La sua messa in sicurezza ha dunque, secondo la procura, il merito di aver neutralizzato la santa Barbara della ‘ndrangheta». Si legge nel comunicato pubblicato sul sito del ministero dell’Interno il 28 novembre 2015.

Maurizio Marzolla: «Un relitto pieno di fascino e di mistero»

«Un relitto drammaticamente bello, purtroppo oggi non più accessibile per i sub, e che avrebbe potuto costituire un museo storico sottomarino, un parco ricco di biodiversità. La mia prima immersione risale alla fine degli anni Ottanta, quando ancora percorrevamo 100 metri di spiaggia prima raggiungere il mare. Ci cambiavamo su una piattaforma di cemento che all’epoca era stata costruita per lasciare la farina, tirata fuori dalla stiva e riportata in superficie, al sole ad asciugare.

Foto di Maurizio Marzolla associazione Y Cassiopea Underwater reporter di Reggio Calabria

Per decine e decine di altre volte mi sono immerso per andare ad ammirare quel relitto e i tesori della sua stiva. Uno spaccato di un’epoca con le bottigliette di liquori e profumi. È senza dubbio il relitto più interessante e affascinante delle nostre zone. Da oltre un decennio non è più possibile avvicinarsi, purtroppo. È davvero un peccato. La natura nei decenni ne ha esaltato il fascino e anche il mistero». È quanto racconta il documentarista e appassionato di immersioni, Maurizio Marzolla che con l’associazione Cassiopea Y Underwater Reporter ha realizzato dei documentari bellissimi, tra i quali “Laura C. La nave dei misteri” con la consulenza scientifica di Francesco Turano, quando ancora era possibile avvicinarsi al relitto.

Daniele Todaro: «Mio padre quantificò oltre 3 mila tonnellate di tritolo nella stiva»

«Mio padre era arrivato dalla Sicilia. In servizio con la società Sagomar, era stato inviato qui dopo l’affondamento della Laura C, era stato incaricato dalla Marina Militare di recuperare l’ingente carico andato a picco con essa. Eseguì centinaia di immersioni, allora attività ad altissimo rischio. Due dei suoi colleghi, Salvetti e Corbani, non sopravvissero. All’epoca scendevano pilotati da sopra con l’aria che arrivava sotto con i compressori gestiti a mano. Eravamo davvero agli albori delle immersioni. Durante la sua permanenza in missione qui conobbe Anna, mia madre. Mio padre, dunque, rimase a Saline per amore. Qui visse per tutto il resto della sua vita». Così racconta Giuseppe Daniele Todaro, il più piccolo dei sei figli di Ferdinando, uno dei palombari inviati in Calabria per recuperare il carico della Laura C. Lui oggi è titolare del panificio che a Montebello ha il nome di sua madre, Anna Benedetto.

Foto di Maurizio Marzolla associazione Y Cassiopea Underwater reporter di Reggio Calabria

«Mio padre era molto credente e devoto. Una volta ci raccontò di un’immersione piuttosto critica. Aveva temuto di non riuscire a risalire vivo. Si affidò alla Madonna di cui aveva avuto una visione. Furono tanti i beni che vennero portati fuori da quella stiva. Erano tempi di guerra e di grande miseria. Dunque la comunità locale ne poté beneficiare. Ma non vi erano solo viveri e beni di necessità. Vi erano anche munizioni e tritolo. Mio padre collaborò con la Dia fornendo informazioni precise circa la posizione di oltre 3mila tonnellate di tritolo da lui quantificate».



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