Nonna Letizia Battaglia, il nipote Matteo: «Sono cresciuto in mezzo alle sue fotografie, respirando la sua libertà» – FOTO
Oggi cura con la sorella Marta l’archivio ed è stato a Reggio quando la mostra “Senza fine” è stata inaugurata. L’esposizione, compreso il pannello danneggiato e poi riparato, è visitabile all’arena dello Stretto fino al 2 febbraio

«Lo spazio sul giornale non basta più per le cose che vogliamo dire. Personalmente ritengo che questo momento sia drammatico, sento sulla pelle questa violenza, di soprusi, di corruzione di cui siamo testimoni ogni giorno». Autunno 1979, Corleone. Qualche settimana dopo l’assassinio a Palermo del magistrato Cesare Terranova (il cui processo fu istruito a Reggio Calabria), dalle pagine dell’Ora le foto conquistavano la piazza. Occorreva alzare la voce e la testa perchè i morti ammazzati si susseguivano senza tregua.
Qui la fotoreporter Letizia Battaglia spiegava, a nome dei fotoreporter dell’Ora di Palermo, le ragioni di quella scelta. Le foto, che già coraggiosamente denunciavano il sangue versato da Cosa Nostra lungo le strade negli anni Settanta sulle colonne dell’Ora, adesso venivano esposte in piazza. Foto diventate iconiche, che oggi confluiscono nel ricco e prezioso scrigno dell’associazione Archivio Letizia Battaglia, curato dai nipoti Matteo e Marta Sollima.
Da Corleone a Reggio Calabria
Una selezione è esposta dallo scorso novembre nella suggestiva Arena dello Stretto Ciccio Franco di Reggio Calabria. Con accesso libero, ancora visitabile fino al prossimo 2 febbraio, sullo Stretto si staglia la mostra “Senza Fine” che racconta 50 anni di fotografia e quindi di vita della grande Letizia Battaglia (Palermo 1935 – 2022), donna e professionista forte e ostinata, appassionata e determinata. Ripristinato anche il pannello trovato in pezzi qualche settimana fa. Ancora in attesa di conoscere l’esito degli accertamenti delle cause.
Offerta dalla città di Reggio dal segretariato regionale per la Calabria del ministero della Cultura, l’esposizione è organizzata da Electa in collaborazione con la Fondazione Falcone per le Arti e con l’Associazione Archivio Letizia Battaglia, guidata dai nipoti Marta e Matteo Sollima, quest’ultimo presente all’inaugurazione a Reggio.
«Spero che le persone riescano a cogliere la profondità di questi scatti. Spero che più che fotografare le fotografie, vogliano guardarle, entrarci dentro come faceva mia nonna con le persone di cui il suo obiettivo coglieva l’anima». Il nipote Matteo ha seguito fino a Reggio Calabria gli scatti dell’amata nonna. A muoverlo non è solo l’orgoglio del nipote che con lei ha vissuto ma è anche un affetto profondo per la nonna con cui è cresciuto e la stima per una donna che in un mondo di uomini non si è mai lasciata intimorire né intimidire, diventando in Italia la prima fotoreporter a lavorare in un quotidiano. Quel quotidiano era l’Ora di Palermo che in un frangente storico assai tragico, con la direzione del calabrese Vittorio Nisticò, divenne coraggioso presidio di legalità e lotta alla mafia.
Macchina fotografica e sigarette
«La fotografia per mia nonna era una voce di denuncia, di lotta, di impegno civile, di emancipazione. Lei aveva uno spirito indomito che la spingeva a scrutare le strade e i quartieri di Palermo e anche a viaggiare fino a raggiungere la Groenlandia e l’Islanda. Fotografa e viaggiatrice, con la sua macchina fotografica al collo e le inseparabili sigarette. La definizione di fotografa della mafia l’ha sempre infastidita. Lei non era al servizio della mafia ma la denunciava, la combatteva. La Palermo che lei ha conosciuto e in cui ha vissuto era stata anche questo e dunque lei lo aveva raccontato perchè era un suo dovere farlo», spiega il nipote Matteo.
«Io e mia sorella Marta curiamo l’archivio delle foto di nonna. Con lei siamo cresciuti. Io vivevo con lei e ho trascorso la mia vita tra le sue fotografie, ascoltando i suoi racconti e respirando una libertà che poche donne a quei tempi in Sicilia, e non soltanto, erano riuscite a conquistare. In quella miriade di scatti e negativi tentavo di mettere un ordine ma il giorno dopo, puntualmente, tornava il caos», racconta ancora Matteo che con la nonna Letizia e la sorella Marta nel 2021 ha costituito l’associazione Archivio Letizia Battaglia. Un’esperienza che adesso prosegue senza l’amata nonna, scomparsa nel 2022. Dunque la vita continua, sempre in mezzo alle sue fotografie.
Letizia Battaglia e la Calabria
C’è anche un pezzo di Calabria nei suoi scatti. C’è in mostra pure una foto del 1983 che ritrae, in un bosco, tra i fumi, un uomo chino e intento a lavorare con la terra. «Quella in Calabria fu una parentesi. Fu qui nella seconda metà degli anni Ottanta. So che si occupò del quartiere difficile di Archi», racconta ancora il nipote Matteo.
«Le sue denunce sono ancora molto attuali. Le sue foto costituiscono pezzi della storia del Paese, della sua stessa vita e della passione con cui l’ha attraversata», sottolinea il nipote Matteo.
Una vita segnata da un’adolescenza difficile e in gabbia, dal matrimonio precoce a soli 16 anni con Franco Stagnitta con il quale ebbe le sue tre figlie, Cinzia, Shobha Angela e Patrizia. Poi il legame con il fotografo Santi Caleca e poi il lungo sodalizio con il fotografo dell’Ora, Franco Zecchin.
Ogni foto di Letizia nasce nell’anima
Passeggiando tra i pannelli si percepisce che quelle foto nascono nel cuore e nell’anima di Letizia. L’occhio è solo un tramite del dolore, della morte, dell’emarginazione, della speranza e della disperazione, della vita e dell’amore. La macchina fotografica consente, infine, di prolungarne l’eco nel tempo. Questo fa il fotografo diceva Letizia Battaglia: «In uno scatto ben c’è l’intera storia di una esistenza».
L’ordine delle foto dell’esposizione reggina è volutamente sparso e attraversa le molte vite di Letizia Battaglia. Dall’impegno in prima linea per documentare i fatti di sangue fino ai suoi viaggi, passando per il suo profondo sguardo sui quartieri e per la sua esperienza di volontariato alla Real Casa dei Matti, l’ospedale psichiatrico di via Pindemonte, dove curava dei laboratori teatrali. La sua passione era nata dal giornalismo.
Poi le parole cedettero il passo alla fotografia che l’appassionò al punto da non avere energie per altro. Ciò fino alle stragi del 1992. Non fotografò ciò che quelle stragi avevano lasciato. Troppa violenza, troppo sangue. Troppo. Giovanni Falcone vive nei suoi scatti mentre incede volto assorto al funerale di Carlo Alberto dalla Chiesa nel settembre del 1982.
Sempre per prima sul luogo dei fatti
Con la sua macchina fotografica arrivava sempre prima, spinta dal dovere di documentare andando il più possibile vicino a ciò che accadeva e alle persone coinvolte. Spesso ostacolata nel suo lavoro, fu invece compresa e apprezzata dal Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo che le consentiva di avvicinarsi e di documentare. Letizia Battaglia fu a Cinisi sul luogo in cui Peppino venne assassinato nel 1978.
Si trovò davanti al finestrino in frantumi della macchina guidata dal segretario provinciale della Democrazia Cristiana, Michele Reina, il 9 marzo del 1979, di quella guidata dal giudice Cesare Terranova quel 25 settembre 1979. Immortalò l’arresto di Leoluca Bagarella, responsabile anche dell’assassinio dello stesso Boris Giuliano, morto il 21 luglio del 1979. Di lui non poté fotografare il corpo ma fotografò la scrivania.
Infilò la macchina fotografica dentro la macchina del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella quel 6 gennaio del 1980, quando ad estrarlo esanime dall’auto c’era il fratello Sergio, oggi presidente della Repubblica. Seguì il boss Luciano Liggio in tribunale e si immerse nello strazio dei funerali del sindaco democristiano Vito Lipari, ucciso a Castelvetrano il 13 agosto 1980.
L’umanità emarginata
Ogni foto è un autentico atto amore per la verità nuda e cruda della vita, quella dei quartieri poveri di Palermo e quella dei volti dei pazienti dell’ospedale psichiatrico. Una verità che ancora trasuda in tutta la sua tragicità quando negli anni Settanta immortala L’omicidio in bicicletta e L’estrazione del corpo di un uomo morto fulminato mentre cerca di rubare il rame per sfamare i suoi figli.
Una realtà colta in tutto il suo drammatico disincanto quando a essere cercato è chi resta ai margini come La bambina lavapiatti, La bambina con il pane nel quartiere Kalsa e nel quartiere Cala La bambina con il pallone. Poi all’emarginazione si mescola la devianza che ruba l’infanzia: Vicino alla chiesa di Santa Chiara impera il gioco del killer mentre il 2 novembre bambini ricevono in dono dai genitori delle armi per giocare.
La vita comune e le tradizioni
Ci sono anche momenti di vita comune con l’abbraccio alla stazione tra madre e figlio tornato da una missione pericolosa, il bacio di due innamorati, un parto, due giovani accanto a un jukebox nel quartiere Albergheria. E ancora le tradizioni con la Banda musicale e della Bambina e il pecoraio e della Acchianata dei devoti al santuario di Santa Rosaria a Monte Pellegrino. Poi l’altare a Totò e a Maradona a Napoli. C’è anche la Palermo altolocata con il ricevimento aristocratico, il ballo di Capodanno a Villa Airoldi, Franca Rame alla palazzi Liberty.
Verso lo Stretto
È il volto di Graziella fermato in via Pindemonte nel 1983 ad aprire la mostra, con accanto l’intellettuale Leonardo Sciascia e l’artista Renato Guttuso. Poi i morti ammazzati dalla mafia a Palermo. L’iconica foto del volto in penombra con gli occhi chiusi dal dolore di Rosaria Costa, la vedova dell’agente di scorta di Giovanni Falcone, Vito Schifani, spicca al centro dell’esposizione. Qui e lì qualche scatto della giovinezza a Segesta e di qualche viaggio lontano.
Poi verso il mare e rivolta verso la statua di Atena, ecco l’amarezza meditabonda di Pier Paolo Pasolini durante un dibattito sulla censura a Milano, dove negli anni Settanta aveva avuto inizio la carriera di fotoreporter di Letizia Battaglia e che aveva presto lasciato per rispondere al richiamo della sua Palermo e del direttore dell’Ora Vittorio Nisticò. Infine, cullata dalle onde dello Stretto, la dolcezza di Olimpia, amica e collaboratrice di Letizia, che sulla spiaggia di Mondello celebra la maternità e la speranza.
Le mille vite di Letizia Battaglia
Letizia Battaglia fu anche attivista e ambientalista. Fu la prima donna europea a ricevere nel 1985, ex aequo con l’americana Donna Ferrato, il Premio Eugene Smith, a New York, e nel 1999 fu insignita del Mother Johnson Achievement for Life.
Negli anni Novanta arrivò anche l’impegno politico. Fondò con Simona Mafai e Rosanna Pirajno la rivista Mezzocielo. Fu assessora alla Vivibilità del Comune di Palermo con la giunta di Leoluca Orlando e poi anche deputata dell’Assemblea Regionale Siciliana e cofondatrice del Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato”.
Le sue fotografie continuano a viaggiare, a emozionare, a denunciare e a interrogare perché l’umanità che testimoniano, nel bene e nel male, non finisce di decantare.
- Tags
- reggio calabria