La Profezia di Pasolini: «Sbarcheranno a Crotone e a Palmi, a milioni e con il germe della Storia Antica»
L’intellettuale, brutalmente ucciso a Roma nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, già “sapeva” che la Calabria sarebbe stata terra di approdo. A Reggio Pasolini era stato per i moti del Settanta. Fu amico della pioniera del femminismo di origini reggine, Adele Cambria, che recitò in alcuni suoi film
Fu a Reggio Calabria perchè nei moti del Settanta riconobbe le storie di militanza e lavoro che voleva raccontare nel documentario di Lotta Continua dal titolo 12 dicembre, diretto da lui e da Giovanni Bonfanti nel 1972.
Fu grande amico della scrittrice e autrice di teatro, pioniera del femminismo e del giornalismo scritto e fatto anche dalle donne nelle redazioni “maschili” dell’epoca, la reggina Adele Cambria, di cui il prossimo 5 novembre ricorrerà il nono anniversario della morte avvenuta a Roma nel 2015. Lei recitò, da lui diretta, nel film Accattone e poi anche in Comizi d’amore, Teorema e La Ricotta.
Il rapporto che il poeta, brutalmente ucciso a Roma nella notte tra il 2 e il 3 novembre 1975 e vittima di un assassinio ancora avvolto nel mistero, ebbe con la nostra terra un complesso e tormentato ma anche intenso e, per lui, di grande ispirazione. Un riferimento su tutti è quello a Cutro, tra i set del suo capolavoro sulla vita di Gesù, Il Vangelo secondo Matteo, girato prevalentemente tra i Sassi di Matera quando ancora non erano la meta turistica che oggi sono diventati. Scelse quel set perchè simbolo un Sud dimenticato e sofferente.
Poeta e profeta
Ritenuta quasi profeticamente una terra sacra, quella calabrese che da poeta che vede le cose prima, la cui parola ha tutta la forza anticipatrice possibile. Il poeta che vede, non al di là né oltre, ma dentro la storia passata, presente e futura. E mentre gli italiani emigravano all’estero per lavorare, e tra loro tanti calabresi, egli vedeva quello che poi sarebbe accaduto decenni dopo. La Calabria sarebbe diventata terra di approdo.
«(…) Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, a milioni, vestiti di stracci, asiatici, e di camice americane. Subito i Calabresi diranno, come malandrini a malandrini: “Ecco i vecchi fratelli, coi figli e il pane e formaggio!” Da Crotone o Palmi saliranno a Napoli, e da lì a Barcellona, a Salonicco e a Marsiglia, nelle Città della Malavita. Anime e angeli, topi e pidocchi, col germe della Storia Antica, voleranno davanti alle willaye (…)».
Il crotonese emerge assai spesso, indagando il rapporto che Pasolini coltivò con la Calabria. In questo caso emerge, richiamando anche l’altra costa della Calabria, quella reggina con Palmi, anche nella poesia Profezia, pubblicata nel volume Poesia in forma di rosa nel 1964. La dedica “A Jean Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri” richiama quello che sarà il titolo del volume della raccolta di racconti, sceneggiature e progetti di film che va dal 1950 al 1965. Ma chi è Alì dagli occhi azzurri?
Alì dagli occhi azzurri
È «uno dei tanti figli di figli, scenderà da Algeri, su navi a vela e a remi. Saranno con lui migliaia di uomini coi corpicini e gli occhi di poveri cani dei padri sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sé i bambini, e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua. Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali». Nulla vi fu di più autenticamente profetico per il nostro tempo e non solo. Due dei naufragi di migranti più drammatici della storia si sono consumati negli ultimi due anni proprio nel crotonese, a Steccato di Cutro, e nel reggino a Roccella Ionica.
«Io so»
Di Pasolini, unitamente a uno stile di vita disinibito e al processo per atti osceni e corruzione di minore dal quale uscì assolto, non può non riconoscersi la grandezza rimasta unica e rara di intellettuale che attraverso i “ragazzi di vita” seppe prevedere la decadenza dell’allora emergente, e oggi imperante, società dei consumi, la lacerazione oggi manifesta tra il centro e le periferie, le sue “borgate”.
Altrettanto profetico, con ogni probabilità anche della sua tragica morte inflitta per mano di persone ancora oggi ignote, fu il suo celebre articolo apparso sul Corriere della sera esattamente mezzo secolo. Era il 14 novembre del 1974. Sul Corriere della Sera apparve il suo articolo “Cos’è questo Golpe? Io so”.
«Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
(…) Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero».
Un anno dopo, mentre lavorava al Romanzo delle Stragi, nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia, dove nel trentennale del 2005 è stato eretto dal Comune di Roma un monumento alla memoria consistente in una scultura di Mario Rosati, Pasolini fu ucciso in modo brutale.
Un mistero irrisolto e quel romanzo sulle stragi
La condanna di sapere, senza poterlo dimostrare, perseguita l’intellettuale anche dopo la sua morte. Il giovane Pino Pelosi, condannato per il suo assassinio, non agì da solo e forse non fu neppure lui tra coloro che massacrarono e uccisero Pasolini quella notte. Al pestaggio presero parte più persone, come riuscirono a scoprire anche Oriana Fallaci e Furio Colombo. Pesante e irriducibile è l’ombra dell’eversione nera e di un commando composto anche da malavitosi della Magliana che ancora avvolge quella notte rimasta senza verità. Sulla sua brutale uccisione non è stata mai fatta piena luce.
Libero
Figlio di Carlo Alberto Pasolini, militare iscritto al partito Fascista, che salvò anche il Duce dall’attentato del giovane anarchico Anteo Zamboni nel 1926, con il quale ebbe un rapporto conflittuale. Suo fratello minore era il partigiano Guido ucciso in Friuli dai partigiani comunisti unitamente a Francesco De Gregori, zio dell’omonimo cantautore. Una morte che generò un urlo di dolore nell’adorata mamma Susanna Colussi, che non fu mai dimenticato dal poeta. Non a caso fu lei stessa, da lui adorata, protagonista, nel ruolo della Madonna proprio nel “Vangelo secondo Matteo”.
Pasolini si era poi, comunque, iscritto al partito Comunista, ritrovandosi espulso per indegnità a causa della sua conclamata omosessualità. Dunque non ebbe padroni e non temette di andare contro anche i “suoi”, perchè questo fa un uomo libero.
Controverso e libero sono certamente due dei suoi tratti. Pasolini fu un intellettuale, scrittore, poeta e regista, che non si lasciò ascrivere ad alcuna categoria e che sfuggì anche agli stereotipi politici. Questo è e resta la cifra della sua grandezza che alcuna violenza, anche quella più efferata con cui è stato ucciso, potrà offuscare o silenziare.
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